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Se la rivoluzione viene dai campi


Non lo vogliono dire, ma siamo in guerra. I segni della devastazione sono evidenti nei luoghi dei bombardamenti invisibili. Molte fabbriche hanno chiuso, i carburanti sono alle stelle, masse di disoccupati vagano aggrappate agli ultimi sussidi pubblici. Nei fortini delle banche si blindano le casse. Il Governo eletto dal popolo non c’è più, la democrazia è sospesa.
Le tasse, i mutui, i fallimenti, i crediti insoluti mietono vittime tra le famiglie per bene. Qualcuno si dà fuoco in piazza, la maggioranza soffre in silenzio. I suicidi allungano la pietosa lista dei nuovi Caduti.
E’ la Terza Guerra mondiale. Gli andamenti delle Borse sono i bollettini dal fronte. Dalle variazioni dello “spread” e dagli esiti delle aste dei titoli pubblici dipendono le nuove incursioni fiscali che mirano alle case e ai luoghi di lavoro dei civili.
E’ il conflitto della globalizzazione senza regole. Che ha abbattuto le barriere dei diritti commerciali, ma non quelle dei doveri sociali. Che chiede ai nostri agricoltori di lucidare i bulloni dei trattori, mentre inneggia al successo delle economie dove il valore aggiunto lo fanno i bambini sfruttati e abbandonati nei campi, nelle miniere e nelle bolge produttive metropolitane.
Che accetta, anzi, favorisce il sopravvento della finanza virtuale sull’economia reale, rendendo indefinibile il valore delle cose. Che abolisce la legge della domanda e dell’offerta su ogni piazza che non sia Piazza Affari.
Come tutte le guerre, nessuno può dire come andrà a finire. Non si sa nemmeno contro chi si combatte. Chi spara? Chi bombarda? Nella tragica girandola della mosca cieca, di fatto nessuno vuole riconoscere il nemico, per timore di scatenarne altre ire. Nelle grandi città, ma anche in quelle piccole e tradizionalmente floride, come Saluzzo, ad esempio, le amministrazioni comunali, quasi per lenire le ferite inflitte dall’esplosione dell’Imu, promuovono la pratica degli orti urbani, che richiamano un po’ (con divieto di dirlo) quelli di guerra, di mussoliniana memoria. Segno che si prevedono tempi lunghi, resistenze sul campo. Segno che l’agricoltura può tornare preziosa, non solo per quanto materialmente rappresenta, ma per il germoglio rivoluzionario che scaturisce dal suo costante richiamo alla realtà e ai valori primari della natura e dell’uomo. Un manifesto universale, tanto antico, quanto dimenticato. L’esatto opposto della globalità senza radici.