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Salvare la terra è la nuova occupazione


Questa crisi non finisce di stupire. Ma non è più il bollettino di guerra dal fronte economico a fare notizia. Non è la chiusura delle miniere del Sulcis a dare la dimensione dell’inesorabile deteriorarsi della situazione generale. La crudezza della realtà, in ultima analisi, sta nel dover scegliere tra salvare l’economia o il lavoro. Questo è il problema. Mantenere l’occupazione a quattrocento minatori costa milioni di euro all’anno. Insostenibile. Quando non è più il lavoro ad alimentare l’economia, ma viceversa, il destino è segnato. Questione di tempo.
Ormai è evidente che non c’è ammortizzatore che tenga. La crisi è di sistema, si dice. Culturale, morale, cioè ben più grave che economica. L’economia virtuale, finanziaria, ha prevalso su quella reale, la scala dei valori va ridisegnata. Ben venga la crisi, dunque, se servirà a fare ordine e giustizia.
Il mondo agricolo ha chiare le priorità, perché è ancorato alla terra e rapportato a leggi fortunatamente da sempre inibite agli uomini. Sa bene che il lavoro che va salvato è quello utile, perché con la natura e l’ambiente, il suo spazio vitale, non si può barare. Si chiede quale futuro occupazionale potrà mai assicurare quella fabbrica delle auto che spopolò le nostre montagne. Se non c’è forse più bisogno di salvare i pascoli alpini, costruire dighe, produrre cibo, piuttosto che di nuove vetture, competenze burocratiche, stabilimenti siderurgici e minerari in mezzo al deserto industriale.
Vede, il mondo agricolo, che il futuro è nel rispetto dell’ambiente. Qui si può e si deve lavorare, interrompendo la spirale perversa che trascina l’agricoltura verso la miseria, con la dispersione di patrimoni mai più rigenerabili, come la stessa terra, l’acqua e l’aria.
Senza un’adeguata remunerazione dei costi produttivi, dev’essere chiaro alla società, prima ancora che agli agricoltori, che non può esserci “cibo giusto al prezzo giusto”, vale a dire quantità, qualità e sicurezza alimentare. In una parola, non può esserci etica produttiva. Si rischia, come quest’autunno, di non avere più cibo per gli animali, perché troppo costoso. Con la siccità, il prezzo dei mangimi vola. Molte coltivazioni vengono finalizzate alla produzione di biogas, sottraendo risorse agli allevamenti. E così si fatica a produrre latte e carne. Si finisce con il consegnare il mercato ad operatori che non si fanno troppi scrupoli ad abusare dell’ambiente e degli animali, quindi anche del consumatore e di sé stessi.
Ma l’occasione per cambiare c’è. Coraggio, è la crisi.