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Più agricoltura per vincere la fame e la povertà


“La fame e la povertà si vincono con più agricoltura. E si combattono esportando sviluppo e competenze nei Paesi del Sud del mondo, in modo da superare il vecchio modello di sussistenza e avviare un sistema agricolo locale, equo e sostenibile. Questa è la convinzione alla base dei 45 progetti di cooperazione internazionale portati a termine fino a oggi dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, attraverso la sua Ong, l’Ases- Associazione solidarietà e sviluppo”.
A sottolinearlo è stato il presidente dell’Organizzazione Giuseppe Politi nella lettura che ha tenuto all’Accademia dei Georgofili a Firenze sul tema, appunto, “Le riforme agrarie in America Latina. Esperienze di cooperazione allo sviluppo”.
“In quel motore agricolo mondiale che è l’America del Sud -ha ricordato Politi, dopo aver analizzato le riforme succedutesi, appunto, in America Latina- la povertà è ancora un problema reale. Proprio in Brasile, la locomotiva della crescita economica del continente latino, la povertà dilaga ancora soprattutto nelle zone rurali, dove una persona su due vive sotto la soglia di povertà. Cifre che spaventano se proiettate in un futuro in cui nei Paesi in via di sviluppo l’incremento demografico stimato è del 100 per cento entro il 2050, due volte più veloce di quello dei Paesi sviluppati”.
“È per questo motivo -ha continuato il presidente della Cia- che l’emergenza alimentare globale va affrontata proprio a partire dallo sviluppo agricolo sostenibile del Sud del mondo, tanto più che, secondo la Fao, gli unici Paesi dove l’estensione della superficie agricola può crescere sono il Brasile, l’Argentina, la Colombia e la Bolivia, insieme a Congo, Angola e Sudan. E sono proprio questi i territori ampiamente ‘saccheggiati’ dal fenomeno del ‘land grabbing’, l’accaparramento delle terre coltivabili da parte di multinazionali che fanno ‘food’ o ‘energia’. Basti pensare che -secondo i dati pubblicati dalla Ong Grain- in Brasile 2,9 milioni di ettari di terreno coltivabile sono passati nelle mani di investitori esteri, mentre in Argentina 961 mila ettari”.
“Oggi in America Latina -ha aggiunto Politi- c’è una distorsione del mercato fondiario che ha favorito un processo di accumulazione basato sull’investimento nel bene terra. Superato il latifondo, la concentrazione fondiaria è praticata da un settore imprenditoriale di tipo capitalista che non ha relazioni economiche con i contadini dei minifondi che producono solo per la sussistenza familiare o per i mercati locali. Nelle zone rurali sono entrate grandi imprese che, sotto la giustificazione di modernizzare la produzione, realizzano investimenti in macchine agricole e in tecnologia all’avanguardia e cercano terre per produrre. Questi investitori si muovono con una logica produttiva totalmente diversa da quella dei contadini per la produzione; mezzi finanziari, tecnologia e rispetto delle risorse naturali”.
“Gli investitori -ha rimarcato il presidente della Cia- utilizzano capitali finanziari extra-agrari alla ricerca di alti rendimenti a breve, favorendo la massimizzazione produttiva, senza interesse nel conservare la biodiversità e le risorse del suolo. Agevolazioni fiscali e creditizie incentivano la deforestazione per dedicare il terreno alle monoculture (come per esempio la soia), all’allevamento estensivo, alla lavorazione del legno”.
“E il processo di concentrazione della proprietà e della produzione estensiva ha avuto come effetto -ha detto ancora Politi- l’espulsione degli agricoltori con minifondi, creando e approfondendo il processo di impoverimento, di migrazione e di esclusione sociale. Le disuguaglianze nella distribuzione della proprietà della terra innescano, infine, un processo di degrado ambientale difficilmente reversibile”.
“Ciò che va esportato in questi Paesi è, invece, lo sviluppo agricolo non la mera distribuzione delle terre -ha affermato il presidente della Cia-. E a tal proposito ha ricordato “i tanti risultati ottenuti soprattutto in Paraguay dai tanti progetti di Ases-Cia. L’obiettivo è di assicurare un livello di vita decente agli agricoltori e alle loro famiglie, attraverso: una dimora dignitosa; l’accesso ai servizi educativi e igienico-sanitari; l’accesso a terra fertile e acqua per i contadini marginali, soprattutto donne; lo sviluppo di strutture di immagazzinaggio e di trasporto locali; l’accesso ai mercati locali, regionali e globali per i piccoli produttori; la partecipazione dei piccoli produttori e delle loro rappresentanze nelle discussioni politiche; il sostegno alle cooperative contadine locali e altre forme di organizzazione collettiva nella filiera agricola”.
“Lo spirito cooperativo -ha concluso Politi- ha un approccio nuovo per le popolazioni locali, che mira a un avanzamento economico, ma anche umano, sociale e culturale, in grado di far riemergere i valori fondamentali dell’individuo e della comunità, sepolti sotto il peso della povertà e della violenza”.