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Perchè non possiamo non dirci globali


Il blocco delle importazioni deciso dalla Russia come ritorsione per le sanzioni legate alla crisi ucraina sta causando un danno enorme ai prodotti italiani agroalimentari. Il blocco è una tragedia anche per il Piemonte: il 40% della frutta regionale viene esportata in Russia, uno dei pochi mercati in espansione.
Ma da questa tragedia è necessario trarre anche una lezione: il mercato italiano non puo’ fare a meno della globalizzazione. Le conseguenze drammatiche dell’embargo russo dovrebbero far riflettere coloro che hanno elevato il cibo a km zero al rango di principale elemento strategico della politica agraria nel nostro Paese.
Il cibo a km zero è senz’altro una scelta più salutare, qualche volta anche più conveniente, ma il nostro sistema agricolo ed alimentare, non solo le imprese medio grandi, per reggere, deve necessariamente rivolgersi ad un mercato molto più vasto di quello locale, che in molti casi corrisponde al mondo intero.
La semplificazione della realtà, dividendola tra bene, il cibo a km zero, e male, il cibo che percorre lunghe distanze, è un errore madornale. Polarizzare la complessità non aiuta né a comprendere, né ad affrontare la realtà. Eppure dividere la realtà tra bene e male è lo sport preferito di molti opinion maker che in tal modo pensano di catturare consensi presso una popolazione più facilmente suggestionabile da idee semplici che non da ragionamenti complessi.
Se poi la realtà li smentisce, gli opinion maker fanno finta di niente e passano ad un altro argomento.
Di fronte all’embargo, i sostenitori del cibo a km zero sono scomparsi. Non ne parla più nemmeno la Coldiretti che aveva fatto del km zero un suo cavallo di battaglia e fino a poco tempo tempo fa metteva sotto accusa i prodotti che percorrevano lunghe distanze, perché abbattere i trasporti era necessario per eliminare gran parte della Co2 e di altre sostanze inquinanti rilasciate in atmosfera.
Un altro argomento su cui è calato un velo di pietoso silenzio è la decrescita felice. Sulla “decrescita felice” è cresciuto in questi anni un coacervo di idee e movimenti anti-produttivisti, anti-consumisti ed ecologisti.
I supporter della “decrescita felice”, tra cui molti noti intellettuali, erano convinti che la crisi avrebbe spinto i cittadini a ricreare un nuovo senso comune senza sprechi, senza il superfluo e l’inutile. Tutti più frugali, tutti più solidali. Siccome pero’ nella realtà sta accadendo il contrario – mentre molti, a causa della crisi, “decrescono” e finiscono in povertà, compresi ampi strati del ceto medio, altri invece crescono mangiando a quattro palmenti – i decresciti si sono chiusi in un orgoglioso silenzio.
Non essendo proponibili, al momento, quali argomenti di propaganda, per manifesta inattualità, il km zero e la decrescita felice, agli opinion maker si sono buttati sugli ogm. Il loro modo di argomentare è rimasto pero’ ad essere lo stesso. Di qua i buoni contro gli ogm, di là i cattivi a favore. Esistono solo il bianco ed il nero. Non solo i colori, ma addirittura le sfumature di grigio non vengono prese in considerazione. Ed è veramente un peccato, in quanto l’agricoltura è una scienza complessa e affascinante e dal suo buon sviluppo dipende il futuro del nostro pianeta. Il fatto è che i nostri intellettuali che svolgono in materia agricola il ruolo di opinion maker hanno poca competenza e spesso preferiscono rappresentare un’agricoltura di comodo, immaginaria e non indagare con competenza sull’agricoltura reale.

Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte