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“Pagate la carne il giusto e toglieteci pure la Pac”


«La soluzione? Togliere la Pac e pagarci il giusto quello che produciamo».
Parla Luigi Allemano, 54 anni, che insieme al fratello Armando è titolare di un allevamento bovino di razza piemontese nella campagna di Saluzzo.
Racconta la storia e soprattutto i numeri della sua azienda, che sono emblematici di una realtà comune a molti nel settore zootecnico. Un ragionamento ad alta voce.
Davvero pensa che si possa fare a meno dei finanziamenti comunitari?
«Il meccanismo della Pac non è mai stato un vantaggio per il settore della carne piemontese, anzi, ha finito col penalizzarlo fortemente. Nel 1996 la nostra azienda possedeva 60 vacche, comprava macchinari e capannoni e tirava avanti bene. Oggi con 300 capi in stalla non è in grado di fare alcun investimento e tira a campare, sperando che le attrezzature non si guastino mai e che gli animali stiano sempre bene».
Cosa c’entra la Pac?
«La Pac è spesso servita solo agli speculatori. Chi, come i grandi allevatori delle razze da carne, ha moltiplicato a dismisura i capi per ottenere più contributi, ora vive di rendita e può investire i titoli Pac dove vuole. Chi, invece, come gli allevatori della Piemontese, legati alla linea vacca-vitello e non solo all’ingrasso, è rimasto sul territorio a produrre a ciclo chiuso, vive del proprio lavoro, finché può, perché adesso è sul punto di morire. La Pac non serve tanto a lui, quanto a quelli che gliela danno, perché continui a lavorare per mantenerli tutti».
Come se ne esce?
«Attraverso un’equa revisione dei prezzi. La realtà è sotto gli occhi di tutti, basta fare due conti».
Facciamoli.
«Nel 1985 i vitelli alla stalla venivano pagati 6.500 lire, i mangimi costavano 20.000 lire al quintale e la carne era venduta in macelleria a 12/13.000 mila lire al chilo. Dopo quasi trent’anni, il prezzo alla stalla è rimasto lo stesso, circa 3 euro al chilo, compresa l’Iva, mentre i mangimi valgono 32/33 euro al quintale e la carne al consumatore costa intorno ai 17/18 euro al chilo. E’ chiaro come il sole che chi ci ha rimesso di più è stato il produttore. Così non si può andare avanti, tanto più che bisogna aggiungere il fieno, i macchinari, le stalle, il lavoro…».
Di chi è la colpa?
«Di un sistema di speculazioni che ha premiato l’economia di carta e penalizzato quella reale. E poi dell’euro, che ha bloccato i salari degli operai e i prezzi all’origine dei prodotti primari, non impedendo che crescessero i costi dei servizi e di tutto il resto».
Sulla Piemontese è stata fatta una politica di marketing legata alla qualità del prodotto. Non è servita a tenere alti i prezzi?
«La carne piemontese è la migliore al mondo, è vero, ma solo per chi la vende in macelleria. Quando si tratta di comprarla alla stalla, purtroppo, finisce per valere come tutte le altre».
Voi a chi la vendete?
«Al circuito di Eataly, abbiamo puntato tutto sulla qualità. Solo mangime naturale ai cinque componenti: mais, orzo, crusca, polpa di barbabietole e fave schiacciate, più fieno di primo taglio».
E quale sarebbe il “prezzo giusto” alla stalla?
«Non meno di 5 euro al chilo per i vitelli vivi. A queste condizioni, si potrebbe volentieri fare a meno della Pac e sarebbe più giusto per tutti».
I sindacati riescono a supportarvi nelle trattative?
«Francamente non ci aspettiamo più niente. Invece di unire la categoria, sembra che facciano di tutto per dividerla, com’è successo nel caso delle quote latte. Ora si sono anche messi a creare società, cooperative di servizio, che poi devono stare sul mercato, rivalendosi di fatto sui produttori. Sui patentini per i mezzi agricoli, sono sembrati più interessati a organizzare i corsi, piuttosto che a opporsi all’assurdità della normativa. Insomma, anche li ci sarebbe un bel po’ da riformare».
Nel frattempo…
«Bisogna far conoscere la situazione, gli operatori del settore e i consumatori devono essere informati, altrimenti le nostre ragioni rimarranno incomprensibili. Bisogna dire chiaramente che avanti di questo passo le aziende della Piemontese chiuderanno e i nostri giovani saranno costretti a cambiare lavoro, quando ce l’avrebbero in casa. Dovranno cercare occupazione altrove, quando potrebbero essere loro a dare lavoro ad altri. Salvare le imprese è la priorità assoluta, anche in agricoltura. Se chiudono le stalle, andranno perse per sempre».

(nella foto: Luigi Allemano)