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Nocciole turche coltivate in condizioni lavorative di sfruttamento, l’agroindustria investa sulla filiera italiana


La nocciola, ingrediente principe di svariate preparazioni dolciarie, è spesso coltivata all’estero in condizioni lavorative di sfruttamento e una grande quantità viene importata in Italia.

E’ quanto avviene in Turchia, patria delle nocciole che fornisce il 70% della produzione mondiale coltivate in 600 mila piccole fattorie sparse lungo la costa del paese, dove c’è un sistema di lavoro molto poco chiaro fatto di sfruttamento minorile e mancanza di tutele. Della questione se ne stanno occupando diversi giornalisti stranieri, tra cui il New York Times che, in un articolo recente, ha fatto emergere come dietro ai dolciumi di numerose multinazionali ci sia effettivamente una situazione estremamente difficile, fatta di soprusi ai lavoratori che spesso sono i rifugiati siriani, persone che si trovano, quindi, in una condizione di vulnerabilità e ricattabilità.

“La preoccupazione è duplice: da un lato per la quantità di nocciole importate nel nostro Paese che fanno concorrenza a quelle piemontesi e dall’altra per la condizione in cui vengono prodotte. Proprio nell’articolo del New York Times, infatti, è riportato come il lavoro venga svolto senza protezioni, senza contratto ed in condizioni di sostanziale schiavitù – evidenziano Roberto Moncalvo presidente di Coldiretti Piemonte e Bruno Rivarossa delegato confederale -; la nostra regione tra le sue eccellenze, soprattutto nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo  ma anche nel torinese e nel nord della regione, vanta la Nocciola Piemonte Igp, coltivata su una superficie complessiva di quasi 20 mila ettari di cui 15 mila sono impianti attivi e la produzione totale è di 240 mila quintali di cui 103 mila certificati Igp. Oltretutto, la Nocciola Piemonte Igp, ad esempio, è indicata, rispetto ad altre tipologie, per la preparazione di pregiati cioccolatini la cui ricetta prevede che rimanga intera. Proprio per sostenere e valorizzare il comparto chiediamo all’agroindustria di investire sul nostro territorio. Siamo pronti, quindi, a lavorare a nuovi progetti di filiera, come ad esempio quello già realizzato con il gruppo dolciario Novi-Elah-Dufour di Novi Ligure, che possano dare opportunità economiche per la nostra regione ma che siano anche esempi di trasparenza ed eticità”.