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Miscanthus e Silphium, le coltivazioni non alimentari che non piacciono (ancora) all’Italia


La bioeconomia si fonda sulla produzione di risorse biologiche rinnovabili, sulla loro conversione, sui residui di queste e sui suoi sottoprodotti, generalmente caratterizzati da valore un aggiunto: alimenti, mangimi, prodotti biobased ed energia rinnovabile. È possibile considerare la bioeconomia come una futura e promettente alternativa di business rispetto alla nostra economia attuale, basata prevalentemente su risorse di natura fossile. Ciò comporta una continua dipendenza alla disponibilità limitata di risorse non rinnovabili, quali petrolio e carbone.

Con “Strategia UE 2020” e con “Innovare per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa” è stata sottolineata l’importanza dei prodotti biobased, ed è stata definita  la loro centralità nello sviluppo di un’economia sostenibile.

Questo cambio di paradigma deve però svilupparsi attraverso una filiera che non sia in competizione con l’agricoltura alimentare. Le colture Non-food (NFC) sono quelle che non entrano nelle catene alimentari e sono utilizzate per produrre una vasta gamma di prodotti biobased, quali bioenergia, biocarburanti, polimeri, lubrificanti, materiali da costruzione e prodotti farmaceutici.

Attualmente in Europa è possibile coltivare un’ampia gamma di colture NFC, tantoché la Commissione Europea  all’interno del Regolamento Omnibus contenente una mini riforma della Politica Agricola Comune (PAC) 2014-2020,  introduce tra le aree ad interesse ecologico le superfici investite con Miscanthus e Silphium. Due promettenti coltivazioni non alimentari che crescono su terreni marginali ed incolti, su cui la stessa UE ha investito milioni di euro in programmi di ricerca”.

Questo è quanto ha commentato Lorenzo Avello, ceo di Planeta Renewables, startup attiva nella valorizzazione di coltivazioni non alimentari per le bioindustrie italiane, e continua “l’Italia però, nel decreto di ratifica del regolamento, ha scelto di non includere queste due coltivazioni all’interno delle aree di interesse ecologico (EFA), impedendo così agli agricoltori di ricevere un contributo pubblico per la messa a dimora di queste piantagioni, fondamentale per sostenerne una sufficiente diffusione. Una scelta legittima secondo un’ottica giuridica, ma inspiegabile a livello economico ed ambientale”.

Solo in Italia sono presenti migliaia di ettari di terreno marginale ed incolto, non utilizzabile per le produzioni alimentari, che con le coltivazioni non-food potrebbero tornare produttivi con notevoli benefici ambientali, sociali ed economici. Basti pensare che un ettaro coltivato a miscanthus può contribuire a ridurre di oltre 30 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno. Il Bel Paese però, a differenza di altri Stati europei come Francia e Germania, sembra non voler cogliere questa opportunità.