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Maxitruffe e speculazioni cosa succede in alpeggio?


L’alpeggio dovrebbe essere prima di tutto una pratica zootecnica. In realtà, è diventato molte altre cose. Per i prezzi d’asta troppo esosi, si è assistito negli ultimi anni a una speculazione che penalizza i veri margari. Proprio in questi giorni le cronache riferiscono che la Forestale ha portato a galla una maxi-truffa sui fondi Ue per gli alpeggi.
Alla vigilia della stagione, mentre i margari si preparano a trasferire le mandrie all’alpe, è utile stabilire qualche punto fermo. Lo facciamo con il dottor Bartolomeo Bovetti, direttore dell’Apa cuneese e studioso della monticazione tradizionale.

Che cosa sta succedendo?
“Succede quanto più volte abbiamo denunciato. Il nostro punto fermo era e rimane questo: il margaro è il custode della pratica zootecnica chiamata alpeggio, colui che sa gestire tutta la complessità, la persona che deve saper coniugare tradizione e innovazione, la tecnica con il vissuto personale”.

Oggi invece l’alpeggio che cos’è?
“Difficile rispondere, le situazioni sono diverse e sempre complesse. Tuttavia si può affermare che l’alpeggio in sé manifesta ancora le potenzialità espresse nella definizione, ma ahimé con alcune significative derive di natura speculativa , come abbiamo visto dalla recente inchiesta”.

Come è potuto avvenire tutto ciò?
“Una delle voci che incidono pesantemente sugli oneri di gestione dell’alpe è rappresentata dal canone di affitto il cui costo di norma viene determinato, per le proprietà comunali, con il meccanismo dell’asta. I partecipanti margari si contendono l’appalto conoscendo le caratteristiche delle aree (disponibilità di acqua, tipo di erbaggio), la presenza di strutture e di accessi e in particolare il così detto carico d’alpe, tutto regolato da precisi capitolati. Con questo sistema i contendenti partono tutti dallo stesso piano, vince chi ha più coraggio, più forza economica, ma la linea di partenza è uguale, non esistono handicap di sorta”.

Tutto ciò sarebbe bello e perfetto. Purtroppo le cose vanno assai diversamente, non è vero?
“Infatti. Il meccanismo attuale pone i partecipanti alle aste in condizioni diverse, la superficie dell’alpe diventa uno strumento che genera risorse per via dei titoli Pac calati sugli ettari disponibili, in modo legittimo si badi, ma oggettivamente distorsivo e a cui pare non facile porre rimedio. Sono anni che il problema viene dibattuto, le proposte non mancano ma di volta in volta si scontrano con leggi comunitarie, regolamenti e interessi di parte”.

Esistono ancora forme di alpeggio libere da questi condizionamenti?
“Assolutamente sì ma, aggiungo, da salvaguardare. Ed è partendo da quest’ultima considerazione che forse possiamo intravedere una soluzione. Si tratta di riprendere i vecchi capitolati di alpe e di applicarne le prescrizioni; a ciò dovrebbe seguire una valutazione oggettiva-qualitativa della conduzione dell’alpe espressa in un punteggio articolato che potrebbe originare delle graduatorie sulla base delle quali erogare contributi o definire delle priorità nell’assegnazione degli alpeggi”.

Cambieranno le cose?
“Oggettivamente la proposta è di difficile applicazione così come espressa. C’è sta stabilire chi controlla, chi definisce i punteggi, e gli strumenti usati nelle graduatoria. Ma ciò che conta ora è dare forza, significato e valore a un concetto che non deve essere emarginato e sottomesso ad altre logiche. L’alpeggio è una pratica zootecnica: questo è quello che vorrei”.

(nella foto: Bartolomeo Bovetti)