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Mais Ogm, perchè non basta reprimere


La scoperta di una superficie seminata a mais geneticamente modificato in provincia di Rovigo ha riacceso il dibattito sulla questione ogm. Non è possibile ad oggi fare alcuna considerazione su quanto è accaduto poiché, a parte le conferenze stampa e le dichiarazioni sulle analisi effettuate, non sono state rese note le percentuali di presenza di coltura geneticamente modificata. Ovviamente è in corso un’indagine da parte della Procura della Repubblica che ha chiesto l’ausilio operativo della Guardia Forestale.

Ali di là di come si concluderà la vicenda, gli agricoltori sanno che l’Italia ha detto no alla coltivazione degli ogm avvalendosi della facoltà prevista dalla direttiva europea 2015/412, che consente agli Stati di impedire all’interno dei propri confini le coltivazioni transgeniche

Tutta la semente commercializzata in Italia deve essere ogm free ed autorizzata dall’ENSE (Ente Nazionale semente Elette) di diretta emanazione del Ministero. Gli agricoltori non possono utilizzare semente al di fuori di canali convenzionali. Le regole vanno rispettate, per cui non condividiamo il comportamento di coloro che seminano mais ogm, ammesso che ciò sia accaduto.

Tuttavia la questione ogm sì, ogm no non può essere risolta con la repressione di chi viola le regole.

La scelta di un’agricoltura ogm free può essere un valore aggiunto alla distintività della nostra offerta agroalimentare in ragione delle nostre peculiarità e della nostra storia, ma la battaglia contro la coltivazione del mais ogm si vince soprattutto garantendo un reddito adeguato a chi coltiva il mais ogm free.

Gli agricoltori pretendono qualcosa di più tangibile dei pronunciamenti contro gli ogm. Pretendono che il loro mais ogm free venga pagato qualcosa in più del mais ogm, visto che costa di più produrlo.

Un modo per salvaguardare chi produce mais ogm free sarebbe quello di imporre che non solo i prodotti che contengono ogm, ma anche gli alimenti nella cui filiera produttiva entrano gli ogm, pur in assenza delle relative tracce, siano tenuti a far figurare sull’etichetta la dicitura che per la loro produzione sono stati utilizzati organismi geneticamente modificati. Solo così la scelta dell’ogm free acquisterebbe un valore ed un significato precisi, e garantirebbe un po’ più di reddito agli agricoltori che rinunciano agli ogm.

Che senso produrre mais ogm free, se poi quest’ultimo finisce nello stesso calderone del mais ogm? Che senso ha, inoltre, impedire la coltivazione degli ogm e poi non fare nulla per limitarne le importazioni?

La crisi della coltura del mais nel nostro Paese è ormai un fatto conclamato con le superfici dedicate che diminuiscono di anno in anno.

Fino a quindici anni fa l’Italia era autosufficiente. Poi dopo il 2001 è cominciata una fase di lento declino e nel 2004 abbiamo importato il 10% del mais di cui avevamo bisogno, diventato poi il 20% nel 2009, il 30% nel 2012. Per la campagna di quest’anno si potrebbe arrivare alla metà esatta del fabbisogno italiano, che è pari a circa 11 milioni di tonnellate.

Le motivazioni del declino sono da ricercare in diversi fattori. I coltivatori hanno perso parecchio entusiasmo per il mais essendosi trovati ad affrontare in questi ultimi anni una serie di difficoltà come le oscillazioni dei prezzi, la questione nitrati, la limitazione delle conce, la comparsa della Diabrotica e la presenza di micotossine, che si sono aggiunte alle frequenti crisi di mercato ed alle annate troppo siccitose o piovose. L’Italia è il Paese europeo con il danno più alto da piralide: temperature notturne alte e umidità la favoriscono e l’insetto è considerato tra i maggiori responsabili della contaminazione.

Ma un motivo non secondario della crisi è costituita dal fatto che il prezzo del mais nazionale, persino il migliore in termini sanitari, è quasi sempre inferiore a quello di provenienza extra Ue, anche ogm.

La crisi del mais è preoccupante. Tutti i prodotti derivati da carne e latte – formaggi, salumi, prosciutti -, compresi i prodotti Dop e Igp, hanno come base il mais. Non solo nel 2016 butteremo al vento più di un miliardo di euro per acquistare il mais che ci manca, ma stiamo correndo il rischio di non disporre di mais italiano a sufficienza per sorreggere le nostre produzioni di qualità.

È quindi necessario trovare soluzioni adeguate che permettano a questa coltura di tornare a essere al centro di un’agricoltura a cui offre ancora enormi possibilità.

(Fonte: Cia Piemonte)