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L’unità delle vallate è la carta vincente


Per le prospettive della montagna piemontese la riforma in corso di attuazione poteva essere un grave passo indietro se non fosse intervenuta la decisione del Governo Monti che ha salvato il principio di montanità prevedendo le Unioni montane di comuni con le competenze già attribuite alle Comunità montane in materia di sviluppo.
Le grandi questioni della Storia – e tale è la questione montana – non procedono in modo lineare. Ci sono passi avanti e battute di arresto. Alle volte passi indietro. Quello attuale è un passaggio difficile. Non per il problema in sé del passaggio dalle Comunità alle Unioni – che parrebbe anche essere una occasione per rilanciare un “progetto montagna” in Piemonte, ma per il rischio di frantumazione dei territori in piccoli raggruppamenti deboli sia sul piano della rappresentanza collettiva che rispetto alla possibilità di imprimere una spinta propulsiva alla causa collettiva delle terre alte
L’unità per le nostre vallate è sempre stata la forza vincente, come i capelli per Sansone. Unità geografica (unità della valle), unità identitaria (lingua, tradizioni, obiettivi), unità economica (integrazione tra fondovalle e paesi vallivi), unità storica (rappresentata dal destino comune delle popolazioni) e, infine, unità amministrativa attraverso le Comunità montane. Ora la legge 11 estinguendo le Comunità montane intende attribuire ai comuni una libertà di scelta rispetto alla propria futura aggregazione. Una libertà apparentemente accattivante alla quale, però, possono concorrere l’egoismo dei Comuni più ricchi, le contingenti affinità politiche, localismi e municipalismi finora riassorbiti dal carattere unitario delle Comunità montane. Così rischiamo di assistere alla situazione di Comuni di fondovalle che si separano dalla valle, a piccoli gruppi di Comuni che si mettono “in proprio” senza avere vere capacità di autogestione del proprio sviluppo, all’utilizzo improprio delle Convenzioni anche per gestire le funzioni di sviluppo che, a nostro parere ( e non solo nostro ), la legge riserva alle Unioni montane. C’è già il caso di una valle in cui la destra orografica si riunisca in Unione e la sinistra in Convenzioni: chi e come gestirà il fiume? Si creerà, cioè, una situazione ad Arlecchino con una forte perdita di compattezza e di capacità operativa. Questa impostazione che viene presentata come affermazione della “centralità” e della libertà dei Comuni, appare propagandistica nei confronti di Comuni sempre più abbandonati a se stessi e adesso anche incentivati a disunirsi.
Per questo, ora che le Comunità hanno fatto le loro deliberazioni e tocca ai Comuni fare le loro scelte, va fatto ogni ulteriore sforzo – e ringraziamo tutti coloro che lo stanno facendo – per tenere i territori il più uniti possibile. Per evitare la perdita della coesione che è sempre stata il punto di forza della montagna.
Non dobbiamo tuttavia fermarci alla situazione contingente. Il percorso di una partita storica come la “questione montana” può incontrare difficoltà, battute d’arresto o essere anche costretta a passi indietro. L’importante è che si mantenga intatta la volontà e l’impegno della popolazione a perseguire gli obiettivi che restano, se posso usare una espressione antica, “l’emancipazione della montagna”. Saremo tra i “sommersi” o i “salvati” nella misura in cui riusciremo a conservare la nostra determinazione contrapponendo “l’ottimismo della volontà al pessimismo della ragione”.
Dividere le vallate, perderne l’unità, è un danno grave, ma abbiamo le risorse per riprendere il cammino. La prima delle risorse è il fatto che oltre l’80% dei Comuni, con un’accentuazione tra quelli più montani, sono orientati a percorrere la strada dell’Unione.
Dovremo rimettere in piedi quella capacità di programmazione attraverso la quale le nascenti Unioni montane potranno coinvolgere sui progetti di sviluppo tutte le risorse a cui abbiamo diritto: il Fondo per la montagna, i fondi Ato e i fondi Leader, previo il pieno coinvolgimento dei Gal che possono accentuare la loro naturale funzione di braccio operativo delle Unioni ma anche di vero motore degli investimenti nelle terre alte.

(nella foto: Lido Riba)