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"L’etichetta non basta,  se manca la filiera"


L’obbligo dell’indicazione dell’origine in etichetta del grano per la pasta e del riso é sicuramente un fatto positivo. Risponde ad una crescente esigenza di trasparenza e informazione verso i consumatori italiani che potranno leggere sull’etichetta della pasta il “paese di coltivazione” e il “paese di molitura” del grano duro. Analogamente, il “paese di coltivazione” e il “paese di lavorazione e di confezionamento” del riso.

Se l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di riso e grano porterà anche, come tutti si augurano, dei benefici economici ai settori risicolo e cerealicolo nazionali, é sperabile che tali benefici vengano suddivisi equamente tra tutti gli attori delle filiere produttive.

La ricerca di equilibrio nella distribuzione del reddito lungo le catene produttive è una questione annosa e mai risolta. Ad essere danneggiati sono sempre gli agricoltori. Il divario di prezzi dai campi alla tavola e la scarsa organizzazione delle relazioni tra le fasi a monte e a valle della catena del valore costituiscono elementi di grande debolezza del sistema agroalimentare Made in Italy.

Organizzare le reti e le filiere, cosicché tutti i soggetti si sentano parte di un progetto comune, non é semplice, ma é la condizione necessaria per affrontare mercati sempre più complicati. Anche coloro che si sentono più forti – l’industria di trasformazione e le grande distribuzione – se pensano di poter fare da sé, marginalizzando i produttori delle materie prime, saranno prima o poi sbranati dai pescecani della globalizzazione.

C’è poi un altro problema: se all’obbligo dell’inicazione di origine in etichetta non si accompagna una adeguata campagna di “formazione del consumatore”, cambia poco. E’ necessario che il consumatore diventi consapevole (e critico?) perché l’obbligo di indicazione dell’origine contribuisca effettivamente alla valorizzazione del made in Italy.

Tra le azioni da mettere in campo per fare in modo che il cittadino diventi un consumatore consapevole (critico) bisognerebbe considerare una integrazione dei programmi scolastici e una profonda revisione dei programmi televisivi dedicati alla cultura del cibo. Naturalmente le reti e le filiere agroalimentari organizzare dovrebbero fare la loro parte soprattutto nei social sventando bufale e smantellando luoghi comuni e pregiudizi.

Gabriele Carenini, vice presidente Cia Piemonte