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Le mani dell’Europa sull’acqua agricola


L’Ue sta elaborando una nuova politica delle acque. La comunicazione in discussione è il Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee, pubblicato insieme alla Relazione sulla revisione della politica su carenza idrica e siccità.
Il documento mira ad eliminare gli ostacoli all’azione di salvaguardia delle risorse idriche europee e si basa su una valutazione delle politiche finora adottate. La direttiva quadro sulle acque ha stabilito l’obiettivo di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015. Questa data limite si sta avvicinando. Il rapporto sullo stato delle acque dell’Aea e la valutazione della Commissione sui piani di gestione dei bacini idrografici degli Stati membri sviluppati nel quadro della direttiva quadro sulle acque concordano nel ritenere che tale obiettivo sarà probabilmente raggiunto per poco più della metà (53 per cento) delle acque dell’Ue. Per questo, secondo la Commissione europea, sono necessari ulteriori interventi per preservare e migliorare lo stato delle acque dell’Unione.
Dal documento emerge che le pressioni più pesanti sullo stato ecologico nell’Ue (19 Stati membri) siano riconducibili alle modifiche ai corpi idrici riconducibili, a dighe per la produzione di energia idroelettrica e per la navigazione e a terreni drenanti per l’agricoltura o ad argini per la protezione dalle alluvioni.
Un’attenzione particolare è riservata dal Piano della Commissione all’ agricoltura prospettando un ulteriore aggravamento degli impegni che già il settore ha assunto a proprio carico in base alla legislazione vigente comunitaria e nazionale. Tale approccio del Piano non è condiviso da Coldiretti anche perché, come dichiara il Piano stesso, il 44 per cento dell’estrazione di acqua è destinata al raffreddamento nella produzione energetica, mentre il consumo dell’agricoltura è nettamente inferiore in quanto si aggira intorno al 24 per cento, né è accettabile la considerazione secondo la quale, nonostante ciò, la maggiore gravità del caso dell’agricoltura dipende dal fatto che la reimmissione dell’acqua è limitata ad un terzo di quella estratta, mentre nel settore energetico l’acqua di raffreddamento riconfluisce nel corpo idrico.
Tale analisi non tiene per nulla conto del fatto che a differenza degli altri settori produttivi, in agricoltura la disponibilità dell’acqua è un parametro fondamentale e necessario alla produzione, anzi un vero e proprio fattore di produzione al pari della terra. Oltretutto in questo caso, la risorsa idrica é impiegata per la produzione di beni alimentari indispensabili per la sopravvivenza umana ed animale. La naturale fruibilità della risorsa idrica dipende dal clima, dal tipo di suolo e dal ciclo idrogeologico.
Come correttamente evidenziato dall’Associazione Nazionale Bonifiche, Irrigazioni e Miglioramenti fondiari in una indagine conoscitiva, il fabbisogno irriguo di una specie agraria cambia a seconda delle caratteristiche ambientali e della coltura stessa, poiché variano le profondità dell’apparato radicale ed il grado di tolleranza alle carenze idriche. Ogni coltura necessita, per svilupparsi, di un determinato apporto quantitativo di acqua al di sotto del quale non è possibile averne la produzione. Per effettuare il bilancio idrologico dell’area di coltivazione, è necessario conoscere la distribuzione delle precipitazioni, le perdite dovute a percolazione profonda, il ruscellamento superficiale ed evapotraspirazione, infine gli apporti dati dalle acque di falda. Determinante è anche il tipo di suolo, le sue capacità idriche, capacità d’infiltrazione e permeabilità.
Conoscere e misurare questi fattori permette di valutare, ad esempio, la necessità o meno di ricorrere all’irrigazione, riducendo eventualmente i costi economici e ambientali di quest’operazione. Essa può essere applicata con tecniche differenti (localizzata, con irrigatori, per scorrimento o infiltrazione), le quali possono in misura diversa, influire sui processi di salinizzazione dei terreni e favorire la diffusione dei patogeni e di specie vegetali infestanti favoriti da un eccesso di umidità.
L’87 per cento della produzione agricola italiana viene da territori irrigati. L’irrigazione come apporto artificiale di acqua è elemento imprescindibile per la produzione italiana soprattutto in una fase in cui il cambiamento climatico ha comportato un innalzamento delle temperatura ed un aumento dei fenomeni siccitosi. La superficie servita da opere di irrigazione è di 3 milioni di ettari.
Le esportazioni agricole italiane sono costituite per i 2/3 del loro valore da territori irrigati. La scelta dell’irrigazione nel nostro paese è dettata da motivazioni legate alle caratteristiche del territorio prevalentemente collinare e montano. Le precipitazioni non sono adeguate alle esigenze vegetative delle piante e, quindi, l’Italia è penalizzata rispetto ai paesi nord europei dove il clima è decisamente più piovoso. Secondo l’Anbi la competitività dell’agricoltura italiana e la capacità di mantenere un vantaggio concorrenziale è strettamente legato alla permanenza di una rete irrigua adeguata ed efficiente senza la quale le imprese agricole italiane finirebbero fuori mercato.
A fronte di tale contesto, Coldiretti condivide i rilievi critici contenuti nella lettera indirizzata dal Copa Cogeca al Consiglio Ue dei ministri dell’Ambiente. L’organismo disapprova, giustamente, la scelta della Commissione di aver elaborato un documento che presenta un approccio unico che si applica uniformemente a tutti i settori produttivi, senza considerare il rapporto speciale che esiste tra agricoltura ed uso delle risorse idriche, in quanto rischia di essere fuorviante e penalizzante per l’agricoltura europea.
Gli agricoltori europei tramite le misure già poste in essere dalla Politica Agricola Comune sono già sufficientemente motivati e sensibilizzati rispetto al tema dell’uso razionale dell’acqua. Quindi, proseguire sulla strada dell’incentivazione delle misure previste dalla PAC per la salvaguardia delle acque, appare una politica molto più efficace che non ricorrere ad un approccio basato sulle sanzioni.
“Molti obiettivi di aumento della qualità delle acque sono stati raggiunti nel corso degli ultimi anni – sottolinea il Copa Cogeca – e il cambiamento delle pratiche agricole poste in essere dagli agricoltori per migliorare l’uso dell’acqua e per ridurre l’uso di fertilizzanti e fitofarmaci sono ben documentati. Imporre ulteriori obblighi inserendoli nel regime di condizionalità degli aiuti è un orientamento inammissibile in quanto mina la volontà degli agricoltori di partecipare alle misure di carattere volontario previste dai Piani di Sviluppo Rurale che hanno sicuramente una maggiore incidenza in termini ambientali. Per le medesime ragioni non appare assolutamente condivisibile la proposta di inserire la direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, nella condizionalità, ai fini della tutela delle acque quando già sono applicate tutta una serie di norme dagli agricoltori a tutela delle zone vulnerabili da prodotti di fitosanitari”.
Una posizione condivisa da Coldiretti poiché occorre applicare misure più rigorose esclusivamente nelle aree rurali dove l’esercizio dell’attività agricola crea problemi persistenti sulla base di dati risultanti da monitoraggi specifici. In materia di acque occorre, infatti, individuare soluzioni adatte e diversificate a seconda delle diverse situazioni territoriali, che tengano conto anche dell’aspetto dei costi nel quadro di una normativa che miri a semplificare gli adempimenti e non ad aumentare il carico degli oneri amministrativi ed economici delle imprese agricole per perseguire obiettivi di tutela ambientale che sono già in corso di realizzazione con risultati quantificati.