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Latte, Confagricoltura vede rischio default


D’ora in avanti gli allevatori europei potranno produrre tutto il latte che vorranno. Dopo 32 anni sono cessati infatti i vincoli imposti dall’Unione Europea alla produzione degli Stati membri, introdotti per evitare che il mercato venisse invaso da un’offerta troppo abbondante. Il bilancio lasciato in eredità dal regime delle quote latte è pesantissimo: multe per 4,4 miliardi di euro, un numero di produttori ridotto ad un sesto rispetto agli anni ’90 e l’insanabile rottura tra chi ha versato fino all’ultimo euro e chi ha sempre fatto il furbo.
Bruxelles è ottimista sul futuro e non teme che la fine delle politiche di controllo porti ad aumento incontrollato della produzione e ad un eccessivo abbassamento dei prezzi del latte e dei prodotti caseari. “Negli ultimi due anni la produzione è aumentata, ma i prezzi sono rimasti stabili” ha fatto notare il Commissario Ue per l’agricoltura, Phil Hogan.
I produttori sono molto meno ottimisti del Commissario Hogan. Innanzitutto perché non è vero che negli ultimi due anni i prezzi sono rimasti stabili. In Italia sono nettamente diminuiti fino a toccare gli attuali 35 cent al litro, molto al di sotto dei costi di produzione ed è molto probabile che il futuro la volatilità del prezzo del latte sia destinata a crescere. I produttori sono molto preoccupati anche per l’inconsistenza degli strumenti promessi dall’Ue e dal Governo per aiutare i produttori di latte e le cooperative lattiero-casearie per fare fronte agli effetti della liberalizzazione del mercato.
Se i Paesi più competitivi nel settore come Irlanda, Germania, Paesi Bassi, Belgio e repubbliche baltiche sono pronti a cogliere le nuove opportunità, in Italia la fine del regime delle quote latte potrebbe tradursi in una caduta dei prezzi ed in un’invasione di latte straniero.
Circa il 50% del nostro latte viene usato per fare formaggi Dop, Denominazione origine protetta, come Parmigiano, Grana, Gorgonzola, Asiago, ecc, o viene venduto come latte fresco e dovrebbe risentire meno delle quotazioni internazionali, mentre il restante 50% è destinato al consumo umano diretto o ad essere trasformato prodotti meno qualificati (burro e formaggi non tipici, latte in polvere) e risentirà fortemente della concorrenza del latte estero. Nei paesi del Nord Europa la produzione è in deciso aumento ed il loro latte si riverserà nel nostro Paese a prezzi stracciati. Il rischio è di essere travolti.
In mancanza di provvedimenti incisivi e se la parte industriale, che ha beneficiato della qualità e dell’appeal commerciale del “made in Italy”, non assumerà un ruolo responsabile per arrivare ad accordi di filiera che riconoscano prezzi congrui agli allevatori, non solo le aziende più deboli o collocate in zone svantaggiate saranno costrette a chiudere, ma anche per le aziende più strutturate non è escluso il rischio default.

Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte

IL LATTIERO CASEARIO IN ITALIA

L’Italia annovera circa 35.000 allevamenti da latte (2.400 in Piemonte). Con circa 1.850.000 (163.000 in Piemonte) vacche la produzione nazionale di latte vaccino è di circa 11 milioni di tonnellate (960mila tonnellate in Piemonte), per un valore pari a 4,8 miliardi di euro. Il 50% del latte prodotto in Italia viene trasformato in formaggi Dop, con l’industria di settore che esprime un fatturato di 14,9 miliardi di euro, pari a circa l’11% del fatturato dell’industria alimentare italiana. L’Italia importa 9 milioni di tonnellate di equivalente latte (fra latte liquido, panna, cagliate, polveri, formaggi, yogurt e altro).