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L’agricoltura va bene? Cosa vogliono far credere


Vediamo alcuni dati Istat ed Eurostat. Il valore della produzione agricola italiana è passato da 50 miliardi di euro nel 2005 a 57 miliardi nel 2015 (+14%), mentre nell’Ue è cresciuto del 22%. Nel 2005 gli occupati agricoli erano 972 mila; che sono scesi a 878 mila nel 2014, con una perdita di circa 100 mila occupati in 10 anni.

Dopo l’evento milanese “Nutrire il pianeta”, si parla molto di export. Addirittura si dice che l’agricoltura è la regina dell’export. E’ vero che le esportazioni di prodotti agricoli sono passate da 4,1 miliardi nel 2005 a 6,6 miliardi nel 2015 (+2,5 miliardi). Ma ci si dimentica di aggiungere che le importazioni sono anch’esse aumentate da 9,2 miliardi nel 2005 a 13,8 miliardi nel 2015 (+4,6%). Il saldo import/export è fortemente negativo (-6,6%) ed è notevolmente peggiorato. Va meglio il saldo import/export dell’agroalimentare, con un netto avanzamento dell’Italia. Ma il merito è dell’industria e non dell’agricoltura.

Se parliamo dei redditi agricoli, la situazione è ancora peggiore.
Tra il 2005 e il 2015, in Italia sono aumentati solo del 14% mentre in Europa crescono mediamente del 40%. La Spagna è l’unica a fare peggio di noi.

Nel 2016 la situazione si sta facendo ancor più critica con prezzi bassi per tutte le produzioni, dal latte al grano, dalla carne agli ortofrutticoli. Troppe aziende stanno producendo in perdita e non si sa fino a quando potranno sopravvivere.

Eppure, alcuni organi di informazione ed alcune organizzazioni continuano a diffondere la vulgata secondo la quale tutto va bene e che le campagne si stanno riempiendo di giovani. Non è così! Nei territori rurali italiani, gli agricoltori stanno eroicamente resistendo e lottano quotidianamente per la sopravvivenza.

Dinanzi a questa difficilissima situazione, una classe dirigente responsabile avrebbe già indetto una Conferenza nazionale dell’Agricoltura (antica proposta della Cia) della durata di almeno una settimana.

Le campagne italiane hanno un urgente bisogno di innovazione, di una continua sperimentazione di prodotti e processi nuovi, di suscitare finalmente un’osmosi tra saperi esperienziali e conoscenza tecnico-scientifica. Ma poco si fa in questa direzione. Basti vedere con quanta ostilità è trattata la questione delle biotecnologie applicate all’agricoltura.

In questi tempi si parla anche molto di “sostenibilità”: é indubbia la necessità di cambiare paradigma produttivo sia in termini di consumo di risorse naturali, sia di esternalità negative connesse alle attività agricole dell’uomo, ma spesso il termine assume i connotati di una vulgata nella quale definire un prodotto agroalimentare come “sostenibile” implica un rifiuto quasi automatico delle tecniche garantite dal progresso scientifico. Al contrario, per rendere davvero sostenibile l’agricoltura del domani, la scienza, la ricerca e le tecniche innovative non sono solo utili, ma necessarie.

Purtroppo in questo momento sembra invece vincente il filone culturale ideologicamente contrario all’innovazione tecnologica in agricoltura e trovano molto ascolto e consenso quelli che auspicano un ritorno generalizzato all’agricoltura del passato, tutta zappa e bicipiti, o pensano, nel migliore dei casi, che all’agricoltura debbano essere affidati gli obiettivi più disparati, di carattere spesso vago, ma certamente sempre meno l’obbiettivo della produttività.

(Fonte: Cia Piemonte)