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La suinicoltura cerca soluzioni


“Oggi, più di ieri, un allevatore deve trovare il tempo per partecipare ad incontri e convegni per poter svolgere bene il proprio mestiere ed essere al passo con i tempi. E se sempre non è possibile esservi di persona almeno occorre documentarsi sulle cose che si sono dette e, per quanto mi riguarda, cerco di non perdere gli appuntamenti più importanti. Così è stato per il recente convegno organizzato dall’Anas a Cremona dal titolo “Quale futuro per il suino pesante di qualità” e così per la Rassegna suinicola internazionale di Reggio Emilia appena conclusa”.
Comincia con questa precisazione l’incontro con Renato Silvestro, suinicoltore presidente della Cia zonale di Fossano e del Gie suinicolo, con cui periodicamente facciamo il punto della situazione del settore.

Ci eravamo lasciati ad inizio anno con l’auspicio che, per la nostra suinicoltura, il 2013 fosse l’anno della svolta. I fatti confermano quella speranza?
“Purtroppo la situazione è ancora lontana da quanto auspicato. I costi di produzione non tendono a diminuire e, di conseguenza, i guadagni sono praticamente inesistenti. Aggiungi anche che se qualche anno fa le perdite erano limitate agli allevatori, oggi a soffrire sono anche altri comparti, quello dei macelli ed, in parte, quello dei trasformatori. I listini non vanno secondo le previsioni.
Anche nelle più recenti quotazioni la tendenza continua ad essere al ribasso toccando gli 1,300 euro al chilogrammo per i suini da macello del circuito tutelato, il che significa, in poche parole, produrre sottocosto, ma anche avere delle quotazioni più basse rispetto ad altri Paesi Europei. Cito qualche esempio: la Spagna, ha quotato i suini 1,377 euro al chilogrammo mentre la Francia è arrivata fino a 1,428 euro al chilogrammo. Nel nostro Paese l’alimentazione di suini pesanti ed i vincoli dei disciplinari DOP all’utilizzo di determinate materie prime appesantiscono il costo di produzione. I costi medi dei mangimi in Italia continuano ad essere i più elevati d’Europa e non possiamo più permetterci di avere quotazioni più basse rispetto a Francia e Spagna che non hanno da rispettare certi parametri di alimentazione che derivano dalla DOP”.

Si contava molto, a fine anno, che crescesse l’interesse degli ingrassatori per un maiale italiano. Invece…
“Sì, in effetti contavamo molto che un rinnovato interesse tingesse di rosa un orizzonte che per anni è stato plumbeo considerato che avevamo toccato davvero il fondo con bassi prezzi, spesso insufficienti a coprire i costi di produzione, ma produrre da noi continua ad essere molto difficile. Purtroppo una serie di gravi avversità meteorologiche sta sconvolgendo il mercato dei cereali che aveva fatto registrare maggiore stabilità dopo la crisi del 2007/2008. I prezzi sono significativamente aumentati e le previsioni di organismi internazionali, quali la FAO e l’OCSE, indicano comunque per i prossimi dieci anni e a prescindere dall’avverarsi di emergenze climatiche, una media di prezzi più sostenuta rispetto a quella del decennio che ha preceduto la predetta crisi 2007/2008.
Cito alcuni dati emersi nel recente Convegno di Cremona organizzato dall’Anas: il costo del mangime in Italia è mediamente di 37,35 €/q mentre in Polonia di € 31,36, in Spagna di € 31,11, in Danimarca di € 33,09, in Olanda di € 28,79, in Francia di € 27,31 ed in Germania di € 27,92 e che, complessivamente, il costo di alimentazione del suino è di 116,6 centesimi di euro al Kg, in Spagna di 92,8, in Germania di 81,7, in Danimarca di 80,4, in Francia di 77,6, in Olanda di 76,5. I dati si commentano da soli. Una fotografia che è confermata dall’associazione nazionale allevatori suini, la quale, per bocca del suo presidente Andrea Cristini, lancia ulteriori segnali allarmati rilevando che i grandi gruppi integrati stanno dismettendo i suini. E’ noto che alcune realtà hanno deciso di ridurre il numero di capi del 70%, altri cercano di diversificare, così in Veneto e Friuli Venezia Giulia partirà un progetto di valorizzazione del suino intermedio, nell’area lombarda importanti allevatori hanno deciso di tagliare di quasi il 30% il parco scrofe. Questo, in Italia, è già diminuito del 30% e potrà subire un altro rallentamento sensibile. Eppure il prezzo, nonostante il numero di suini stia scendendo, non aumenta. Anzi, cala ancora, mentre le materie prime, secondo le stime elaborate dagli analisti, non diminuiranno, perché in altre parti del mondo c’è chi le compra cash”.

Dal punto di vista organizzativo cosa è emerso negli incontri relativamente alla soccida? Rimane una valida alternativa?
“Un’analisi dell’Anas rileva che la soccida non sia più una valida alternativa. Se fino a un mese fa poteva esserlo, per quanto sofferta, oggi con i gruppi principali che hanno scelto di alleggerire il numero di animali è decisamente più complicato e per nulla scontato. Se pensiamo che l’avvento dell’articolo 62 impedisce agli allevatori di pagare il mangime a fine ciclo, ci sono le premesse per condannare a morte i prosciutti Dop italiani”.

Quale ricetta si sta studiando a livello associativo e tecnico per far uscire una suinicoltura con l’acqua alla gola?
“Non è affatto facile, in qualsiasi sede, ipotizzare un piano di uscita per dare un deciso colpo d’ala che faccia riprendere quota al settore. Per l’Anas una classificazione condivisa delle carcasse può costituire un passo in avanti, ma sembra una medicina omeopatica, quando la malattia è molto più grave.
Forse si dovrebbe partire dal prodotto finito, sia esso prosciutto Dop piuttosto che la carne fresca: bisogna trovare una differenziazione e restituire la redditività, partendo magari dalla genetica, come è stato rilevato nell’incontro di Cremona proprio sul tema “La genetica per il futuro del suino pesante italiano”. La competitività e sostenibilità delle produzioni tipiche, che in Italia da sempre trainano l’intero settore – è stato ribadito – richiede carni con precise caratteristiche qualitative. Le selezioni straniere hanno rivolto la loro attenzione a pochi caratteri produttivi: accrescimento giornaliero, resa alimentare, riduzione del lardo dorsale, che sono antagonisti della qualità. I tipi genetici prodotti all’estero con questi obiettivi non assicurano carni idonee ai processi di trasformazione e stagionatura tipici del nostro territorio e patrimonio dell’agroalimentare italiano.
Pertanto le filiere delle produzioni tipiche hanno bisogno di una genetica “ad hoc” che coniughi la tipicità con l’efficienza e l’economicità. Questo compito è di fondamentale importanza per la tenuta del nostro sistema produttivo. Invece abbiamo abituato negli anni la grande distribuzione ad acquistare carne di qualità a poco prezzo e ora con la crisi non riusciamo a trovare una via d’uscita”.

Si vocifera di un possibile elemento a favore della nostra produzione legato alla castrazione dei suinetti. Cosa ne pensi?
“In effetti nei paesi del Nord Europa stiamo andando verso un generalizzato abbandono della castrazione. Questo dovrebbe condurre alla produzione di carni e cosce completamente diverse rispetto a quanto prodotto sino ad ora. Soprattutto potrebbero esserci modifiche nel gusto delle carni difficilmente gradite dal consumatore italiano, contribuendo così ad accrescere la domanda di carni provenienti da animali allevati in Italia e quindi castrati, grazie alla deroga al divieto di castrazione ottenuta dall’Italia che ha dimostrato l’impossibilità della produzione del suino pesante senza ricorso alla castrazione. A questo riguardo è possibile che si verifichi un aumento della domanda da parte dei macelli di cosce di suini intermedi allevati in Italia per il prossimo futuro. Potrebbero quindi porsi su un piano di concretezza le possibilità di sviluppo di un canale di sbocco alternativo della nostra produzione suinicole, da sempre al centro del dibattito – teorico più che pratico – sulle possibilità di sviluppo della nostra suinicoltura”.

Un altro argomento che sta infiammando i dibattiti è quello relativo al pagamento al macello.
“Riguardo alla possibile applicazione anche in Italia del pagamento a peso morto ho letto che il presidente ANAS non chiude la porta, ma chiede che si faccia chiarezza: “Non è pensabile applicarlo con le regole attuali. Approfondiamo questo aspetto e poi si può anche considerare il pagamento a peso morto”. Ne parleremo prossimamente dopo l’approfondimento nella Rassegna Suinicola Internazionale di Reggio Emilia alla quale abbiamo partecipato come Cia cuneese rilevando interessanti notizie relative a formulazioni alimentari che riducono i costi di produzione”.