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Kiwi, torna la paura morìa di piante in Piemonte


Non è colpa di un fungo e neanche di un batterio. Il motivo per cui in Piemonte si sta assistendo a una nuova e devastante morìa di piante di actinidia potrebbe essere legato alla situazione idrica del terreno. Paradossalmente, le piante starebbero seccando per saturazione di acqua alle radici, complici il compattamento dei terreni argillosi (nelle aree alluvionali il problema non sussisterebbe), le “rotaie” di passaggio degli atomizzatori e la mitezza delle condizioni climatiche, che negli ultimi anni vedono concentrarsi le piogge e ridursi il salutare manifestarsi del gelo/disgelo.
E’ quanto emerge dalla prime valutazioni della Fondazione per la ricerca e sperimentazione ortofrutticola piemontese, Agrion, al lavoro su questa nuova emergenza, che secondo taluni frutticoltori avrebbe conseguenze addirittura più gravi della batteriosi Psa degli ultimi anni.

COME NEL VERONESE

«La cosiddetta “moria del kiwi” – osserva il direttore di Agrion, Silvio Pellegrino – è stata segnalata per la prima volta nel Veronese nel 2012, quando è iniziato il collassamento d’interi actinidieti, fino a giungere, nel 2016, alla necessità di estirpare oltre 1000 ha di superficie. A distanza di tre anni, nel 2015, anche in Piemonte sono stati segnalati i primi impianti colpiti da questo fenomeno, dapprima nell’areale di produzione Vercellese (Borgo d’Ale – Alice Castello) e quest’anno anche nel Cuneese, nell’areale di Saluzzo e Lagnasco».

DESCRIZIONE DEI SINTOMI

«Gli impianti colpiti – spiegano i tecnici Agrion, Graziano Vittone e Luca Nari che stanno conducendo la ricerca in campo – manifestano inizialmente la presenza di alcune piante in via di appassimento, sovente concentrate in alcune zone dell’appezzamento (capezzagne – file esterne), sino a giungere al loro completo collassamento e morte. Il fenomeno in genere si diffonde all’interno dell’actinidieto abbastanza velocemente nell’arco di una stagione. Le radici delle piante colpite sono quelle di grosse dimensioni, e la loro corteccia è di colore rossobruno e facilmente si sfila dal cilindro centrale. Significativa è la riduzione del capillizio radicale che, come è noto, è quello che svolge la vera e propria funzione di assorbimento».
Quelli che seguono, sono i primi rilievi e consigli pratici elaborati dagli stessi Vittone e Nari sulla base delle loro analisi.

APPASSIMENTO

La pianta colpita presenta inizialmente un appassimento delle foglie che ben presto necrotizzano e cadono. Ovviamente anche i frutti arrestano il loro accrescimento e di conseguenza la produzione risulta completamente compromessa. Va sottolineato come le piante interessate a questo fenomeno non presentino, a differenza di quelle colpite da altre avversità, compresa la batteriosi Psa, nessuna risposta vegetativa, come ad esempio i ricacci dalla base o dal tronco.

CAMPO D’INDAGINE

Essendo ancor vivo il ricordo dello sconvolgimento causato dalla batteriosi del kiwi (PSA) a partire dal 2011, l’attenzione si è concentrata nella direzione d’individuare, come causa primaria del fenomeno, la presenza di un qualche patogeno: al momento però, come meglio si dirà fra breve, non si è potuto dimostrare questa correlazione, analogamente a quanto è emerso dalle indagini svolte nel veronese per lo stesso fenomeno. A tale proposito si sono prese in considerazione tutte le possibili cause del fenomeno che possono venire così sintetizzate.

ESCLUSA CAUSA FUNGHI

Sulle radici in osservazione non si è mai riscontrata presenza di micelio ascrivibile ai patogeni agenti di marciumi radicali quali Armillaria sp. e Rosellinia sp.; dalle centinaia di espianti eseguiti, nel laboratorio del SFR della Regione Piemonte, dal confine dell’alterazione radicale, il 75% degli isolamenti su piastra è rimasto sterile a conferma che l’alterazione del tessuto è dovuta ad una fattore fisico e non ad una causa parassitaria. Solo da alcuni espianti di tessuto radicale (2%) si sono sviluppate colonie di funghi appartenenti al genere Cylindrocarpon, Fusarium, Phytophthora, Rhizoctonia: la loro scarsa presenza nelle radici deperienti esaminate, consente di escludere una loro responsabilità diretta nel fenomeno. Gli ulteriori espianti hanno prodotto sviluppo di funghi e lieviti privi di ruolo patogenetico.

SATURAZIONE IDRICA

In diversi casi esaminati è stata rilevata uno stato di saturazione idrica proprio nella porzione esplorata dalle radici che in questo caso presentano un evidente stato di sofferenza. Questa situazione anomala, trova conferma dalla pratica ricorrente di fornire alla pianta quantità d’acqua molto superiori alla reale necessità, superando frequentemente 80 o 100 litri al giorno per pianta (40 a 45 m3/ha/giorno) e nell’arco della stagione vegetativa anche i 4000 – 4500 m3/ha/anno. Va aggiunto che non sono rari i casi in cui si attua una sovrapposizione dei sistemi irrigui adottati: a quello localizzato (goccia o spruzzo), spesso viene praticato quello a scorrimento, e, senza alcun criterio, viene ripreso, immediatamente, il sistema presente nell’impianto. Diversamente, esistono casi nei quali si è solo attuato il sistema localizzato a goccia, tuttavia, il tempo di accensione troppo prolungato e turni troppo ravvicinati, determinano comunque le condizioni di criticità che causano la moria delle piante. Tuttavia va detto che non esiste un valore indice di apporto idrico generalizzabile e valido per tutti gli impianti; è l’osservazione diretta dello stato idrico di quel terreno, meglio se correlata alla lettura di tensiometri posti a diverse profondità, a convalidare la corretta gestione irrigua. Riguardo alla effettiva esigenza idrica della coltura, la sperimentazione CReSO, ha iniziato nel 2008 ad approfondire le conoscenze proprio per le determinazione del fabbisogno idrico delle colture attraverso il monitoraggio dell’umidità del terreno.

PROVA DELLA PALA

Si è già verificato che la sintomatologia descritta sia, in alcuni casi, causata, al contrario, da un insufficiente apporto idrico dovuto ad un non corretto funzionamento dell’impianto oppure ad un errata dislocazione degli irrigatori. In queste situazioni, per assurdo, si assiste ad una manifestazione dei sintomi del tutto analoga all’eccesso idrico, con la tipica presenza di foglie necrotiche.
Questo fenomeno, si è accentuato in questi ultimi anni nei quali si sono registrate temperature elevate nei mesi di luglio e agosto. In questo caso la causa sarà facilmente individuabile con la semplice “prova della pala” che consentirà di valutare l’effettiva copertura del terreno da parte dell’impianto irriguo. In questa situazione le radici appaiono sane ma meno sviluppate e sarà sufficiente apportare le dovute correzioni al sistema irriguo e la pianta riprenderà la sua normale attività.

SISTEMAZIONE E FERTILITA’ DEL TERRENO

Col tempo la baulatura, normalmente attuata all’impianto, è ormai scomparsa, ponendo i filari e la zona dell’interfila, completamente in piano, determinando la formazione, in certe zone del suolo, di accumuli idrici. Purtroppo, si constata, anche in impianti realizzati di recente, l’assenza di una sistemazione adeguata che, nei terreni di natura argillosa è assolutamente necessaria e deve formare un dislivello, fra il colmo della fila ed il punto più basso del centro del filare, di almeno 50 cm. Non va anche trascurata la formazione, in certe zone dell’appezzamento, di vere e proprie rotaie dovute a frequenti passaggi con l’atomizzatore in condizioni di saturazione idrica che favoriscono poi i ristagni dell’acqua; in tal caso andranno rimosse con un’operazione di risanamento del suolo attraverso opportune lavorazioni. Un altro aspetto, sempre più messo in secondo ordine, è il mantenimento di un buon contenuto di sostanza organica nel terreno; in questi ultimi tempi si è infatti trascurato questo aspetto che invece è fondamentale per mantenere una corretta struttura del terreno che consenta un normale sviluppo delle radici.

CONDIZIONI AMBIENTALI

Se si osservano le condizioni climatiche degli ultimi anni, emerge che le precipitazioni concentrate in certi periodi e le temperature anomale, possono aver peggiorato situazioni già critiche: infatti, dall’analisi dei dati si deduce come gli ultimi anni siano stati caratterizzati da inverni piovosi ed eccezionalmente miti che non hanno determinato l’azione del gelo e disgelo del terreno tipico della stagione invernale.
A questo si aggiunga il raggiungimento di elevate temperature estive nei mesi di luglio e agosto dell’ultimo biennio che, aumentando il livello di evapo-traspirazione, hanno accelerato ed amplificato il fenomeno della moria.

VALUTAZIONE DELLE CAUSE

Poiché, allo stato delle conoscenze attuali, sono da escludere cause di natura biotica (patogeni ecc), l’attenzione va incentrata nella parte agronomica riguardante in particolare lo stato idrico e sanitario del terreno e quindi trovandosi in un impianto con la sintomatologia descritta si consiglia:
– Attraverso uno scavo superficiale, verificare lo stato di sviluppo delle radici: ubicazione, sviluppo e presenza di radichette assorbenti.
– Accertare lo stato idrico del terreno attraverso un semplice esame sensoriale o meglio ancora attraverso uno strumento di controllo.
– Valutare il sistema d’irrigazione in uso, definendone le modalità (quantità d’acqua e tempi di funzionamento dell’impianto).

INDICAZIONI PRATICHE

1. Va subito detto che purtroppo le piante che presentano i sintomi descritti e con l’apparato radicale compromesso, certamente non porteranno a termine la produzione e, quanto è peggio, con ogni probabilità non sopravvivranno. In questo caso ogni azione attuata, non avrà quindi effetto e non resterà altro che estirpare l’impianto.

2. Sui soggetti non ancora del tutto collassati o comunque negli impianti che iniziano a manifestare i primi sintomi è importante, previa valutazione delle modalità irrigue sopra accennate, ridurre l’apporto idrico evitando però la completa interruzione in quanto si accentuerebbe ulteriormente il fenomeno. Sicuramente peggiorativo, sarebbe invece un incremento dell’apporto idrico in quanto le poche radici presenti e ancora efficienti andrebbero incontro ad una rapida disgregazione e perdita di assorbimento. In queste condizioni sono da sconsigliare le concimazioni per via radicale attuate con l’intento di rinvigorire la pianta in quanto l’apparato radicale, ridotte al minimo, non è in grado di utilizzare i concimi distribuiti che anzi lo danneggerebbero ulteriormente.

CONSIGLI OPERATIVI

– In ogni caso si consiglia di collocare in almeno 2 punti di profondità dei tensiometri o altri sistemi di misurazione, in grado di fornire un valore oggettivo dello stato idrico del terreno e comprendere effettivamente quando/quanto la pianta ha bisogno di acqua.
– Tipo d’irrigazione: per stabilire se il sistema d’irrigazione è corretto si dovrà valutare l’uniformità della superficie irrigata, eventualmente spostando gli irrigatori o operando altri piccoli accorgimenti. Nella maggior parte dei casi si tratterà comunque di ridurre l’apporto idrico sovente in eccesso.
– Per quanto riguarda i trattamenti, non hanno fornito risultati i fertilizzanti fogliari, e l’impiego di prodotti contro i marciumi del colletto (Fosetyl, Metalaxil ecc) risultano inutili.
– Per quanto riguarda l’arieggiamento del suolo attraverso lavorazioni, in questo periodo può ancora trovare una sua validità il passaggio col ripuntatore o con un’erpicatura in particolare nei terreni più compatti, mentre per operare una risistemazione del terreno sarà conveniente attendere a fine stagione.

NUOVI IMPIANTI

Nel caso s’intenda realizzare un nuovo impianto è assolutamente necessario mettere a dimora le piante creando una buona baulatura create ad hoc (con almeno 50 cm di dislivello) al fine di evitare fenomeni di ristagno idrico e successiva asfissia radicale. Non è invece necessario effettuare disinfezioni o spostamenti di terreno, in quanto, come detto, non sono stati trovati patogeni nel terreno, mentre si dovrà riservare la massima cura nell’asportazione dei residui radicali.