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I cinghiali in Piemonte costano 25 milioni!


Negli ultimi sei anni in Piemonte si sono raggiunti 25 milioni di euro di danni da selvatici: un valore impressionante, ma parziale: mancano tutti i danni non peritati occorsi a chi non ha partita iva ed anche i danni automobilistici, sempre più importanti e frequenti.
In alcune parti del territorio cuneese la presenza abnorme di animali selvatici – con il corredo di danni agricoli e sociali provocati – è un problema pressante, che si trascina senza soluzione da troppo tempo.
La gestione di una presenza equilibrata dei selvatici sarebbe il compito aureo dei Comitati di Gestione (gestione, appunto!) messi in campo da Regione e Provincia, ma in tali aree il compito gestionale – inteso come gestione faunistica pura e semplice attraverso l’attività venatoria – si è rilevato insufficiente, limitato e certamente secondario rispetto ad altri interessi.
Ed ora il “problema selvatici” in tali aree è di fatto irrisolvibile con i mezzi “normali” e tradizionali.
Non bastano più i censimenti, i piani di prelievo, le battute di caccia, i prelievi forzosi, i cacciatori stessi; urgono misure straordinarie per un problema non più di ordinaria amministrazione.
Misure straordinarie che peraltro non sono neppure di facile individuazione, ma in proposito qualche proposta – anche di recente – è stata presentata: ora tocca ai “responsabili politici” passare dalle parole ai fatti ed avere la forza di adottare misure straordinarie ed anche per questo impopolari.
Laddove la gestione faunistica attraverso l’attività venatoria ordinaria è assente o inadeguata esplode nel giro di poco tempo il problema, che assume carattere generale e pressante su vaste aree di territorio.
Se ciò accade, a questo punto è chiaro che gli ambiti gestionali interessati hanno esaurito (o mancato) il loro obiettivo principale e dovrebbero passare la mano a referenti superiori, meno intrisi di interessi di parte e di area.
Serve a poco – concretamente – da parte degli agricoltori ritirare i propri rappresentati dagli ambiti coinvolti permettendo comunque a questi di operare, ed anzi togliendo in questo modo una parte del principale controllo a cui sono soggetti.
Così come serve a poco – strategicamente – da parte dei cacciatori sostenere e difendere ad oltranza ambiti gestionali che rispondono ad interessi di parte gettando tensione e discredito su tutta la componente venatoria, per lo più disponibile a collaborare.
Ma più divisi e contrapposti degli agricoltori paiono solo i cacciatori, divisi in quattro o cinque aggregazioni, in lotta fra loro stessi a botte di ricorsi e dispetti e per questo incapaci di cogliere l’opportunità di asservirsi dal retaggio preistorico-barbarico a cui la società li relega, per cogliere l’opportunità di essere forza sociale capace di sostenere appieno il proprio ruolo.