Green economy, pagelle e priorità agricole
da Accenture e dal World Economic Forum, l’Italia, nel 2013, si posiziona all’ultimo posto
in Europa e al 46° posto a livello mondiale. Intanto, è arrivato il decreto che incentiva
il risparmio energetico nel settore industriale, nelle infrastrutture e nei trasporti
Secondo un indice di valutazione delle prestazioni energetiche (il Global Energy Architecture Performance Index – EAPI), messo a punto da Accenture e dal World Economic Forum, l’Italia, nel 2013, si posiziona all’ultimo posto in Europa e al 46° posto a livello mondiale. Il nuovo strumento, in sintesi, misura e mette a confronto il livello di performance dell’Infrastruttura energetica di 105 Paesi nel mondo, prendendo in considerazione tre variabili principali: la crescita e lo sviluppo economico, il livello di sostenibilità energetica e la sicurezza e facilità di accesso alle fonti energetiche.
Al primo posto per la miglior performance energetica mondiale c’è la Norvegia, grazie alla facilità di accesso alle risorse energetiche, a costi relativamente bassi, alla costante crescita economica che sta generando rilevanti redditi nazionali e all’adeguato sviluppo delle fonti rinnovabili. Otto i Paesi europei nelle prime dieci posizioni (Svezia, Francia, Svizzera, Lettonia, Danimarca, Spagna, UK), assieme a Nuova Zelanda e Colombia. Il Brasile è al 21° posto, la Federazione Russa al 27°, il Sud Africa al 59°, l’India al 62° e la Cina al 74°. Gli Stati Uniti si posizionano al 55°posto.
Gli elementi caratterizzanti le più alte performance risultano essere l’alto livello di reddito pro capite, un modello di economia energetica flessibile e un buon livello di mix energetico. L’indice rileva anche la persistenza di numerosi problemi che ostacolano il miglioramento delle performance a livello globale: si tratta della predominanza dell’uso delle fonti fossili, delle modalità di gestione ed uso dell’acqua e del patrimonio energetico.
L’indagine evidenzia, infatti, come i Paesi ad alto reddito e in rapida crescita non abbiano ancora sviluppato un adeguato livello di sostenibilità ambientale, mentre molti paesi in via di sviluppo non sono ancora in grado di assicurare ai propri cittadini bisogni energetici di base (ben il 12% dei Paesi analizzati risulta in grado di fornire energia elettrica solo a meno della metà della propria popolazione).
A detta dei promotori dello studio, l’indice elaborato rappresenta uno strumento per monitorare la capacità di affrontare le sfide energetiche da parte di ciascun Paese, suggerendo anche le best practices a cui ispirarsi per le singole aree di interesse. Per quanto riguarda gli interventi nazionali in grado di incidere sulla sostenibilità delle scelte energetiche, si segnala la presentazione, avvenuta nei giorni scorsi da parte del Ministero dell’Ambiente, degli otto i punti chiave, identificati dal governo, per le scelte ambientali del prossimo futuro.
Si tratta di: assicurare il sostegno alla green economy, come via per affrontare la recessione economica e avviare una nuova fase di sviluppo; perseguire la “de-carbonizzazione” dell’economia e la riduzione complessiva delle emissioni di CO2, attraverso politiche e misure coerenti con linee di azione di medio-lungo periodo, per rispettare gli impegni europei del 2020; promuovere l’innovazione tecnologica sostenibile attraverso l’individuazione di una “lista delle “ecnologie verdi”; promuovere smart cities e reti intelligenti, con incentivi alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica; procedere alla messa in sicurezza del territorio, attraverso l’adozione di un piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico e sul dissesto idrogeologico; promuovere una maggiore cooperazione ambientale internazionale tramite programmi bilaterali e multilaterali per la protezione dell’ambiente globale e per la promozione delle tecnologie verdi italiane nei mercati emergenti; operare in funzione di una maggiore semplificazione e trasparenza delle autorizzazioni ambientali; concentrare la fiscalità ambientale sull’utilizzo delle risorse.
E’ evidente come, negli otto punti, che prendono numerosi spunti dalle conclusioni degli Stati Generali della green economy, siano evidenziati numerosi strumenti indirizzati al miglioramento delle performance energetiche, oltre che di quelle economiche ed occupazionali, specie per le piccole e medie imprese.
Un altro provvedimento mirato a migliorare le performance energetiche nazionali attraverso l’aumento dell’efficienza deve essere individuato nel decreto, di recente emanazione, che riguarda la determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell’energia elettrica e il gas per gli anni dal 2013 al 2016 e per il potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi.
L’atto (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2013), infatti, fissa i nuovi target nazionali per il quadriennio 2013-2016 in termini di risparmio energetico per le aziende di distribuzione dell’energia elettrica e del gas (con oltre 50.000 clienti). Le aziende di distribuzione dell’energia elettrica e del metano, per ottemperare agli obblighi fissati, dovranno conseguire risparmi sui consumi finali dei loro clienti. Possono farlo attraverso interventi diretti oppure acquistando i titoli di efficienza energetica da altri soggetti che hanno conseguito questi risparmi. Grazie a questo meccanismo, la vendita dei cosiddetti certificati bianchi costituisce un incentivo di mercato agli investimenti, senza pesare sui conti pubblici. Al proposito, il nuovo decreto sancisce che i risparmi cumulati dovranno raggiungere i 4,4 Mtep nel 2013, i 5,9 nel 2014, i 6,4 nel 2015 e i 7,3 nel 2016. Inoltre, qualora l’obiettivo nazionale di un determinato anno venga conseguito con un margine superiore al 5%, il target per l’anno successivo sarà incrementato in proporzione. Il decreto istituisce, inoltre, nuove procedure per incentivare il risparmio energetico nel settore industriale, nelle infrastrutture e nei trasporti.
Per quanto riguarda le ricadute sul settore agricolo, va segnalato che lo strumento dei certificati bianchi si è sempre rivelato particolarmente complesso da gestire per le imprese agricole, a causa di difficoltà sia di tipo tecnico che procedurale. Ci si auspica, allora, che, alla luce del “rilancio” del sistema dei titoli di efficienza energetica, sancito da questo decreto, vengano al più presto introdotte semplificazioni per favorire la maggiore diffusione dei certificati bianchi in ambito agricolo, anche in virtù delle elevate potenzialità, in termini di contributo al miglioramento dell’ efficienza energetica nazionale, da parte del settore agroforestale.
Sempre in tema di efficienza energetica, si segnala, infine, la recente pubblicazione (nella medesima Gazzetta Ufficiale in cui compare il decreto sui certificati bianchi) dell’atteso “decreto termico”. Si tratta del Decreto 28 dicembre 2012 sull’Incentivazione della produzione di energia termica da fonti rinnovabili ed interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni, provvedimento, che, appunto, è rivolto alla promozione di misure di sostegno alla produzione di energia rinnovabile termica presso impianti domestici (biomassa, pompe di calore, pannelli solari, caldaie/stufe a biomassa) e ad interventi di efficienza energetica.
Oltre a rappresentare un passo importante in direzione del miglioramento dell’efficienza energetica nazionale, il decreto termico costituisce anche una interessante opportunità per il settore agroforestale, in virtù della possibilità di incremento della quota di fornitura di prodotti legnosi per uso energetico, ottenibili dalle attività residuali agricole e dalla gestione boschiva.
Vanno segnalate, tuttavia, alcune carenze, tra le quali una allocazione di investimenti assolutamente non paragonabile al sostegno assicurato al settore elettrico e la mancata differenziazione di incentivo nelle misure relative alla sostituzione degli impianti di riscaldamento. Il decreto, infatti, non prevede la valorizzazione della filiera corta, cosi come avviene nell’elettrico, e questo potrebbe tradursi in una occasione mancata, rispetto alla necessità di favorire l’impiego di biomassa prodotta a livello locale nei confronti di quella importata, proveniente da lunghe distanze e quindi meno sostenibile dal punto di vista ambientale. L’Italia, infatti, è oggi il primo importatore mondiale di legna da ardere e il quarto di pellet, nonostante disponga di una consistente risorsa potenziale (11 milioni di ettari di superfice forestale), seppure non adeguatamente sfruttata a causa di numerosi problemi, non ultimo quello della insufficiente valorizzazione economica della biomassa.
L’assenza della differenziazione dell’incentivo, quindi, potrebbe paradossalmente costituire un ulteriore impulso al consumo di biomassa importata invece di rispondere all’esigenza di rivalutare l’attività della gestione boschiva nazionale, tanto importante anche sotto il punto di vista ambientale e delle prevenzione dei rischi idrogeologici.