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Effetto boomerang sui diritti dei vigneti


Dal 1° gennaio 2016, i viticoltori che vorranno impiantare nuovi vigneti non dovranno più acquistare i “diritti” da un altro produttore che espianta, ma dovranno richiedere l’autorizzazione gratuita, sulla base della disponibilità dei singoli Stati. Le autorizzazione all’impianto non saranno trasferibili, quindi i viticoltori potranno solamente impiantare il vigneto nella propria azienda, senza possibilità di venderla.
Sempre dal 1° gennaio 2016, i viticoltori che decideranno di espiantare un proprio vigneto riceveranno un’autorizzazione all’impianto, che non sarà trasferibile.
Oggi, in Italia, sono in circolazione circa 50.000 ettari di diritti: di questi, il 90% sono detenuti dai produttori, il resto è nelle riserve regionali. Con il divieto di cessione a partire dal 2016, i diritti non utilizzati nel 2015 saranno trasformati in autorizzazioni e non potranno essere più commercializzati (gli Stati membri potranno prorogare al 2020 la conversione dei diritti in autorizzazioni, ma non la cessione a titolo oneroso).
Più del 60% dei diritti in circolazione riguarda vigneti le cui uve sono destinate alla produzione di vini comuni (non Dop/Igp), situati in gran parte nelle zone “meno valorizzate” dal punto di vista del mercato. E’ quindi molto probabile che questi diritti non verranno utilizzati dai possessori, ma poiché le zone “meno valorizzate” si trovano in Regioni che spesso si tengono stretti i diritti e ne impediscono il trasferimento in altre Regioni – dove invece i produttori stanno piantando perché c’è richiesta sul mercato -, rischiamo di perdere 30-40.000 ettari a causa di un blocco tutto burocratico, sostenuto dagli interessi di qualche assessore regionale.
La perdita definitiva di tali diritti rischia di generare una limitazione anche sulle future autorizzazioni che ogni Stato membro potrà emanare annualmente (fino all’1% del potenziale produttivo dell’anno precedente), generando così un risultato paradossalmente contrario a quegli obiettivi di maggior flessibilità e sviluppo del potenziale che la riforma dell’Ocm avrebbe dovuto portare alla vitivinicoltura europea.
Insomma, una situazione complicata, che deve essere affrontata con urgenza. Il ministro ha promesso di intervenire in tal senso, ma il mondo del vino italiano non deve stare alla finestra e dire la sua in proposito.

Gabriele Carenini, vice presidente Cia Piemonte