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Cosa bisogna dirsi sul futuro del Moscato


Nel ciclico andamento che da sempre contraddistingue la situazione del mondo del moscato, il 2015 appena concluso ha dato segni di un indiscutibile per quanto non ancora drammatico arretramento commerciale. I dati di vendita, ovviamente non ancora ufficiali, indicherebbero che le vendite di Moscato d’Asti sono sì aumentate ma non in modo da coprire le perdite, di alcuni punti percentuali, registrate dall’“Asti”, pur tenendo conto di qualche sussulto positivo di quest’ultimo a fine anno. Una questione apertissima, dunque, che richiede, piuttosto di chiassosi quanto inopportuni, nei tempi e nei modi, interventi di qualche attore della filiera, un serio ripensamento sul futuro del comparto che resta tuttora uno dei più importanti e, diciamolo senza timori di smentita, di maggior riconoscibilità e prestigio sui mercati internazionali dell’intero comparto vitivinicolo piemontese.

Come riuscire ad evitare che ogni segnale di crisi si trasformi in una sorta di lite continua tra le parti e di conseguenza in risultati di scarsa o nulla incidenza sui mercati, costituisce oggi il problema centrale dell’intero comparto ma pare comunque chiaro che senza il coinvolgimento di Consorzi e industrie nella costruzione di un percorso di rilancio di entrambe le tipologie,” Asti” e “tappo raso”, non sarà possibile mettere in atto alcuna strategia che dia prospettive e serenità al mondo del Moscato.

Tutto questo non potrà inoltre avvenire, secondo la Cia, senza una forte e precisa presa di coscienza da parte della Regione Piemonte che può ragionevolmente diventare non tanto l’arbitro, quanto il determinato “facilitatore” dell’avvio di un dialogo, sia pur dialettico, tra le parti, mettendo sul tavolo tutta la propria autorevolezza al fine di creare le condizioni per la ripresa commerciale del settore e, con questa, un possibile riordino complessivo del settore tra cui, solo per fare due esempi tra i tanti, la questione del progressivo invecchiamento del “vigneto moscato” e la possibilità di dividere gli albi delle due denominazioni.

Particolarmente complesso appare infatti il quadro “moscatista” che, quasi unico nel panorama nazionale, presenta tre distinte componenti – chi produce l’uva, chi la trasforma e chi commercializza il prodotto finito – che raramente, e forse paradossalmente, si fanno interpreti di un unico obiettivo finale che è quello del miglioramento, economico e produttivo, di tutte e tre.

“Noi rappresentiamo la parte più debole della filiera – afferma Carlo Ricagni, direttore della Cia di Alessandria e rappresentante della Confederazione al tavolo della Commissione paritetica – una parte spesso conflittuale al proprio interno e incapace di unire le forze attorno un progetto condiviso, per questo lo sforzo della Cia si indirizzerà a riunire le componenti della parte agricola della filiera del Moscato, affinché possa davvero contribuire alla rinascita di questo prodotto, fondamentale per la viticoltura del basso Piemonte”.

Sedersi dunque attorno ad un tavolo per valutare quali siano le azioni utili al rilancio del settore, con la garanzia di pari dignità per ognuna delle parti, è oggi indispensabile ed anche urgente. Lasciare che i troppi malumori e gli urli delle ultime settimane decantino per tornare a discuterne tra qualche mese sarebbe dannoso a tutte e tre le già accennate componenti. Come ha affermato pochi giorni or sono il presidente nazionale della Confederazione italiana agricoltori Dino Scanavino “bisogna competere e non proteggersi solo per il gusto di farlo e per evitare che Asti e Moscato finiscano in una perniciosa spirale perversa, c’è grande bisogno di democrazia commerciale e non di antistorici monopoli”.

(Fonte: Cia Piemonte)