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Conigli nel vortice della speculazione


“Gli allevatori piemontesi non ci stanno a prestare il fianco alle continue speculazioni messe in atto da alcuni soggetti della filiera cunicola. Lo evidenziano i numeri degli ultimi mesi: a fronte di consumi pressoché invariati, altrettanto non si può dire per quanto riguarda la remunerazione degli allevatori, con prezzi che sono nettamente precipitati e non giustificati dall’attuale domanda del mercato”, afferma con decisione Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Piemonte.
Dalle ultime quotazioni della CUN di Verona – Commissione Unica Nazionale, si evidenzia che il prezzo dei conigli vivi da carne degli allevamenti nazionali è in costante diminuzione. L’insediamento della CUN, a partire dal 1°agosto 2012 è composta in modo paritetico dalla due categorie professionali degli allevatori e dei macellatori. Era stato visto da Coldiretti e da tutto il comparto cunicolo come un importante strumento per arrivare ad avere un mercato unico nazionale, oltre a monitorare, tutelare e rendere trasparente la compravendita dei conigli vivi da carne da allevamento.
Dopo aver raggiunto la quotazione massima di 2,41 euro/chilogrammo a dicembre scorso, il prezzo ha iniziato una forte discesa sino ad arrivare a inizio marzo addirittura a 1,57 euro/chilogrammo con un crollo dei listini del 35%, per poi via via risalire agli attuali 1,89 euro/chilogrammo. A queste condizioni, gli allevatori non ci stanno. Queste strumentalizzazioni hanno portato a riconoscere solo il 10% del prezzo pagato dal consumatore finale all’allevatore. Le quotazioni sono ferme su livelli di 5-6 anni fa, mentre i costi a carico dell’imprenditore agricolo sono praticamente raddoppiati.
Il dito è puntato su quella parte che cede ai capricci della GDO facendo cartello e portando i valori al di sotto della media, addirittura quella delle principali piazze europee.
“In Piemonte è molto sentita il protrarsi di questa situazione poiché, dopo il Veneto, è la seconda regione italiana per importanza nel settore cunicolo, contando quasi quattrocento allevamenti e più di ottocentomila capi riproduttori allevati, concentrati soprattutto nelle province di Cuneo e Torino – evidenzia Franco Ramello responsabile economico di Coldiretti Piemonte.
L’allevamento è caratterizzato da una prevalenza di strutture di medie/piccole dimensioni. Sin dagli albori la cunicoltura nazionale ha trovato nel Piemonte una delle zone più idonee e recettive per svilupparsi. Inoltre, a fianco dell’allevamento, a livello regionale si sviluppa una filiera che comprende, tra operatori diretti e indotto, un migliaio di addetti superando i 35 milioni di euro di fatturato annuo.
Gli allevatori piemontesi hanno da sempre posto la massima attenzione alla qualità delle loro produzioni, anche attraverso notevoli investimenti, e attenti al rispetto delle regole sanitarie, non ultimo l’adesione al piano di monitoraggio proposto dall’Assessorato regionale alla sanità, il quale ha permesso ai Servizi veterinari delle ASL di poter avere una maggiore conoscenza del comparto.
Nonostante tutti gli sforzi messi in atto dagli allevatori di conigli in questi ultimi anni, la paradossale situazione rischia di danneggiare pesantemente gli allevamenti piemontesi.
“A tutto ciò si aggiunge la mancanza di una normativa comunitaria che preveda l’obbligo di etichettatura delle carni cunicole – conclude Antonio De Concilio – e che potrebbe garantire una maggiore trasparenza al mercato, caratterizzato oggi da massicce importazioni, e la possibilità, per il consumatore, di sapere cosa acquista”.
Allo stato attuale, infatti, il Regolamento UE 1169/2011 che prevede dal 1°aprile 2015 l’obbligo di indicare il paese d’origine o luogo di provenienza per le carni suine, ovi-caprine e pollame (fresche, refrigerate o congelate) non contempla, inspiegabilmente, le carni cunicole.