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Con l’ideologia non si mangia


Il mais rappresentava la cultura principe dell’agricoltura italiana per la quale nel 2005 eravamo autosufficienti, ma che da diversi anni vede un saldo negativo, con una produzione in continuo calo a causa della diminuzione delle rese ad ettaro, della rinuncia all’innovazione, della riduzione della superficie seminata, della competizione per uso energetico e della qualità igienico-sanitaria (presenza di aflatossine).

IMPORTAZIONI
In particolare nel 2013 è stato importato il 37,5% del fabbisogno nazionale di mais e non ci sono segnali che la situazione possa migliorare a breve.
Invece di approfondire le problematiche del comparto del mais e prendere provvedimenti per invertire il trend, in Italia si discute animatamente se autorizzare o meno la coltivazione del mais biotech, che potrebbe dare un contributo ad incrementare la produzione nazionale, (il mais biotech garantisce in Spagna il 6% in più di resa, 80/90 euro in più di margine lordo ad ettaro ed una riduzione di fumonisine dell’83%), sottovalutando i rischi connessi alle importazioni, che in questo momento sono purtroppo necessarie in quanto la produzione nazionale di mais non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno dell’industria mangimistica. Si importa non solo mais biotech, ma anche mais che presenta evidenti rischi sanitari.

DIOSSINA
Pur considerando un’eccezione il carico di mais sbarcato recentemente a Ravenna contaminato da diossina ben oltre la soglia di legge (è comunque inammissibile che i controlli siano stati effettuati dopo che tutto il mais è stato commercializzato ed adesso si deve andare a cercare chi lo ha comperato), non è accettabile che il sistema di autocontrollo messo in atto da molte aziende a livello nazionale evidenzi sistematicamente, su partite di mais proveniente dall’Ucraina, la presenza di diossina, anche se sotto la soglia di legge.

LA QUESTIONE DEI MANGIMI
Nei mangimi in vendita in Italia non solo c’è molto mais d’importazione, ma è ancor più significativa, dal punto di vista quantitativo, la presenza di sfarinati di soia d’importazione.
L’industria mangimistica italiana utilizza, ogni anno, circa 4 milioni di tonnellate di farina di soia, che è un integratore ed una fonte di proteine fondamentale nelle diete animali, compresi bovini, suini, pollame, cavalli, pecore e mangimi per pesci. Di questi 4 milioni di tonnellate, oltre 3 milioni e mezzo sono importati da Brasile, USA, Argentina e Paraguay. L’85% è ogm. L’Italia produce meno del 10% del suo fabbisogno di soia.

MADE IN ITALY
Il comparto zootecnico italiano è sempre più dipendente dalle materie prime importate dall’estero. I vari prodotti made in Italy di origine animale: latte, formaggi (compresi molti dop), burro, yogurt, carne, salumi, prosciutti, uova e così via, sono in grandissima parte prodotti a partire animali alimentati con mangimi a base di soia e di mais di importazione.

FILIERE IMMAGINARIE
Senza la soia ed il mais di importazione non solo l’industria mangimistica chiuderebbe, ma con essa tutto il comparto zootecnico italiano. Queste sono cose stranote, ma in Italia si preferisce parlare d’altro. Ci piace immaginare filiere agricole tutte italiane, che nell’attuale situazione sono una chimera, e ci contrapponiamo sul mais biotech con toni da battaglia ideologica. Ma con l’ideologia non si mangia e non si fa economia.

Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte