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Che senso ha vietare il mais biotech?


“La Repubblica” del 4 ottobre ha ospitato un articolo di Elena Cattaneo, illustre scienziata riconosciuta a livello internazionale, non sospetta di essere al soldo delle multinazionali, la quale sostiene che “il mais bt é più sicuro per l’ambiente e la salute umana del mais tradizionale irrorato da insetticidi o del mais biologico che presenta talvolta preoccupanti livelli di micotossine cancerogene” ed ancora: “per alcuni ogm, come il mais, le prove di sicurezza ambientale e per la salute umana sono esaustive e certificate. Per altri, come la colza, no. In questo caso c’è un rischio di commistione con piante affini”.
Quest’ultima affermazione, cioè che tra ogm ed ogm esistono delle differenze, conferma quanto noi avevamo scritto in questo sito, esattamente il 24 settembre scorso, quando, dopo aver letto una dichiarazione di Carlin Petrini, pubblicata su La Repubblica, in cui il fondatore di Slow Food invitava a tener lontano dai campi e dalla tavola gli ogm (tutti gli ogm) perché non sono sicuri, avevamo commentato: “parlare di ogm in generale è privo di senso. Nessun scienziato lo farebbe. Sarebbe come dire ‘i funghi fanno male’ oppure ‘i funghi sono buoni’, senza distinguere tra i Porcini e le Amanite. Ogni ogm è un caso a sé”.
Le affermazioni di Elena Cattaneo non sono il Vangelo, ma una cosa è certa: bisogna riportare il dibattito sugli organismi geneticamente modificati su un piano di razionalità, evitando i molti tranelli emotivi: l’arcadia della campagna, la primitiva e istintiva repulsione verso il chimico e l’innaturale, la facilità nel presentare la Monsanto come soltanto piegata agli interessi economici e perciò intrinsecamente cattiva, “altrimenti è come se avessimo dimenticato Galileo Galilei e non avessimo ancora capito cosa ha permesso di triplicare l’aspettativa di vita, curare malattie, riscaldare le case, andare sulla Luna, etc”.
Non è razionale, ad esempio, per non dire che è ipocrita, vietare la coltivazione in campo degli ogm, perché non sono sicuri (come afferma Carlin Petrini), e tollerare contemporaneamente che riempiano i nostri piatti.
Se non sono sicuri, lo sono sempre, e se ne deve vietare anche l’utilizzo, invece la grande maggioranza di carne (dai manzi ai conigli, dai polli ai maiali), latte, salumi, formaggi, latticini, yogurt, uova e così via che troviamo in Italia hanno nella loro filiera produttiva mais e/o soia ogm di importazione. Non solo, ma i disciplinari dei nostri principali prodotti tipici, quali il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, ed i vari Prosciutti igp consentono l’utilizzo degli ogm per alimentare il bestiame. La gente ogni giorno acquista e mangia prodotti da animali alimentati a ogm senza che lo sappia, ma si continua a far finta che l’Italia sia ogm free.
Sarebbe più onesto ammettere che il divieto di coltivare il mais biotech in Italia non ha alcun fondamento scientifico. E’ uno spot di marketing e nient’altro, che oggi funziona perché un’aggressiva propaganda ha diffuso pregiudizi e paure irrazionali nell’opinione pubblica nei confronti degli ogm. Ma far credere all’opinione pubblica che l’Italia sia libera da ogm è un inganno, che alla lunga puo’ ritorcersi contro il nostro Paese.
Se si vuole davvero ”liberare l’Italia dal rischio del transgenico”, per usare un’espressione cara ai Verdi, non basta impedire la coltivazione degli ogm, anzi del solo ogm di cui la Ue autorizza la coltivazione, ovvero il mais bt. Occorre vietarne le importazioni o almeno, in subordine, etichettare i prodotti nella cui filiera produttiva entrano gli ogm e mettere in atto una politica di valorizzazione del mais ogm free nazionale, che attualmente viene pagato allo stesso prezzo di quello biotech di importazione, nonostante i costi più alti e le rese minori.
Carlin Petrini, replicando ad Elena Cattaneo, ha affermato che “chi porta ad esempio la Spagna (dove si coltiva il mais ogm) dimentica la significativa quota di biodiversità che questa nazione ha perso aprendo alle coltivazioni ogm”. Da rimanere interdetti. Cosa c’entra la biodiversità? il mais viene comunque acquistato ogni anno per seminarlo e quindi la “biodiversità” del mais coltivato è quanto le multinazionali sementiere, le stesse che producono il mais biotech, decidono ogni anno di mettere in vendita.
Un altro argomento, anzi l’argomento principe per Carlin Petrini, per dire no alla coltivazione agli ogm è quello della sovranità alimentare, “per indicare il diritto di ogni paese (e dunque dei suoi cittadini, del suo popolo) ad avere il controllo politico su quel che si coltiva e si mangia sul proprio territorio”. Ma di quale diritto alla sovranità alimentare parla Carlin Petrini? Conosce la situazione italiana? Tutte le sementi delle più importanti commodities che i nostri agricoltori utilizzano sono prodotti dalle multinazionali estere e le importiamo, insieme a grandi quantità di soia (quasi tutta ogm), mais, grano duro, perché non ne produciamo a sufficienza. Anzi le importazioni di mais ogm stanno aumentando vistosamente perché coltivare il mais convenzionale è sempre meno conveniente per la concorrenza del mais ogm estero, che ha costi di produzioni inferiori e rende di più. In dieci anni la superficie nazionale coltivata a mais è diminuita di un terzo ed ora importiamo quasi il 40% del nostro fabbisogno. E’ questo che si vuole?
C’è qualcosa di profondo che non va nel nostro Paese, sottolinea Elena Cattaneo. La vicenda degli ogm è paradigmatica. Come lo sono il caso Stamina, la sperimentazione animale, i vaccini, etc. Si sta perdendo il senso dell’importanza del sapere scientifico. La scienza cerca il “vero accettabile” attraverso un’attività di ricerca organizzata e con procedimenti metodici e rigorosi, a differenza dei guru tuttologi che cercano soltanto popolarità ricorrendo ad argomentazioni speciose e dei partiti che cercano voti.
All’Italia servono una visione ed una cultura politica che tornino a valorizzare i fatti e le competenze, per recuperare la fiducia della gente e garantire il progresso del Paese.

Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte