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C’era una volta la festa della vendemmia


“C’era una volta la Festa della Vendemmia… si chiamavano i parenti, gli amici, i vicini di casa, molti lavoratori dipendenti prendevano le ferie per quel periodo (io sempre una settimana), e tutti si partiva al mattino dopo la rugiada e si andava nelle vigne. A mezzogiorno non si tornava a casa per il pranzo, si mangiava tra i filari, seduti sulle ceste sotto molte volte un pallido sole di inizio ottobre (non si vendemmiava ancora a settembre, questa era prerogativa del sud). L’atmosfera era bella, di allegria.
Si commentava la consistenza del grappolo, ogni tanto se ne spremeva qualcuno per verificare il grado di babo, si facevano previsioni per la vinificazione, si scherzava, qualcuno intonava qualche canto e tutti insieme si partecipava. I bambini un po’ lavoravano anche perché allettati dal premio in denaro che poi ne sarebbe seguito. Erano pochi soldi, ma loro erano egualmente felici (credetemi non era sfruttamento del lavoro minorile), gli adulti non venivano per la paga, quando andava bene gli veniva poi omaggiata qualche bottiglia al futuro Natale per la loro gioia di potere offrire in quel pranzo a famiglie allargate, il “frutto del loro lavoro”!
Tutto aveva il sapore dello scherzo, della burla, si facevano battute, ci si prendeva in giro per la poca dimestichezza che molti di noi aveva con il lavoro agricolo e per questo faceva anche enorme fatica quando gli addetti quasi si divertivano. Poi veniva la sera e si tornava presto un po’ perché ormai faceva buio prima e poi perché bisognava andare a scaricare alla Cantina Sociale e se andavi tardi facevi lunghe code di attesa, quella era l’ultima fatica, poi si tornava a casa e insieme agli altri vendemmiatori ci si accingeva ad una “grande cena” di gruppo che finiva con bevute “esagerate” giustificate anche dal fatto che il prodotto che si consumava stava per essere reintegrato. Solitamente queste cene si concludevano verso le 10,30 – 11 ora in cui si andava a coricarsi stanchi ma felici e l’indomani si doveva riprendere un’altra giornata di lavoro e di gioia.
E bisognava anche fare presto, questo era un periodo in cui potevano iniziare le piogge autunnali e queste, sulla vendemmia, erano una sciagura immane. Non solo si raccoglieva uva che “bagnata” aveva meno grado, ma la fatica per il lavoro col maltempo si decuplicava e anche molti dei “lavoratori” amici non riuscivano a sostenere quelle fatiche e pertanto dovevano rinunciare ad aiutare… i tempi quindi della vendemmia si allungavano e quella che era una Festa molte volte diventava un dramma in quanto chi aveva tanta uva , pochi amici, rischiava di impiegare settimane per finire il lavoro. Tutto questo pensavo nei giorni scorsi quando nella vigna di mio genero facevo le foto ai grappoli, mi limitavo a ciò per il timore dei controlli.
Ormai fra le vigne nel periodo vendemmiale prevale la paura dei controlli, di vedere arrivare gli ispettori del lavoro, i contadini si affannano ad impedire a chiunque di entrare nei vigneti, i parenti vengono allontanati, gli amici vengono invitati gentilmente a stare a casa, i clienti della città che tanto apprezzavano passare alcune ore tra i filari per tagliare quell’uva che poi sarebbe diventata vino che avrebbero consumato durante l’anno, si sentono emarginati da quel loro “divertimento”, i bambini/ragazzi anch’essi della città che erano curiosi di vedere come si trasformava l’uva in quel prodotto che poi arrivava sulle loro tavole cittadine , si vedevano privati di soddisfare una loro curiosità e conoscenza ma la cultura non sarebbe anche sapere e capire come si ottengono i prodotti che la natura ci offre? Come avviene la trasformazione dei prodotti da dove nascono a dove vengono esposti, comprati e consumati!
Questa cultura come possiamo inculcarla se molte pratiche elementari come la vendemmia vengono vietate alla conoscenza delle persone. Ma come siamo riusciti e per quale ragione, abbiamo trasformato quella che un tempo (pochi anni fa…) era una Festa e oggi è diventato un periodo di terrore? Perché non vedo la protesta di Associazioni di categoria, di Partiti politici, di quelle istituzioni che dovrebbero aver a cuore la salvaguardia di una cultura legata al territorio? Lo sfruttamento degli individui è altra cosa, lo sfruttamento del lavoro nero ha altre implicazioni, queste erano pratiche legate alla convivenza tra cultura del territorio che produce e consumatori ed a quello spirito di collaborazione ed aiuto reciproco che si può dedicare a chi utilizza il territorio per la produzione di alimenti e coloro che di questi prodotti vogliono farne uso per una sana conduzione di vita. Questa era anche una formidabile azione di promozione del nostro territorio agricolo. Ripensiamoci! ”

Andreino Drago, ex Sindaco di Cortiglione (At)