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Capre e cavoli Riflettendo sui pastori


Se fate parte del popolo della rete avrete sicuramente già visto sui social (oppure avrete ricevuto via mail) immagini di agnelli o capretti da latte, che si arrampicano disperatamente su una staccionata che li divide dalla mamma, che hanno un ciuccio in bocca come dei bambini, oppure sdraiati su un piatto con aria indifesa in attesa di essere “sacrificati”.
Le immagini di solito sono corredate da appelli a chi mangia carne, a volte aggressivi, a volte aggressivo-passivi, altre volte ragionevoli, tutte comunque con un messaggio comune: “non mangiate i cuccioli”.
L’anno scorso per la prima volta anch’io a Pasqua ho preferito acquistare la carne di un animale adulto piuttosto che di uno di pochi mesi, pensando che fosse giusto che i piccoli vivessero almeno qualche anno.
Quest’anno, grazie a un gruppo di pastori che frequento su facebook, e ad una persona molto speciale che ho incontrato lì, che si chiama Marzia Verona e che conosce mooolto bene l’argomento (date uno sguardo al suo blog e ditemi se non ho ragione), ho capito che sono stata ingenua, perché il quadro è molto diverso da quello che — da cittadina — credevo fosse.
Il gruppo su Facebook, per chi fosse interessato, si chiama Propast (è però un gruppo chiuso e bisogna essere invitati), e nasce da un progetto finanziato dall’assessorato all’Agricoltura della regione Piemonte e coordinato dall’Università di Torino per studiare i problemi della pastorizia e risolverli. Tra gli obiettivi del progetto c’è anche comunicare alla gente chi sono veramente i pastori e i casari, e per questo, tra le molte difficoltà economiche, sta nascendo anche un documentario di cui potete vedere un trailer di una decina di minuti qui, e che ha anche un sito dedicato.
Proprio a Marzia (che è anche una scrittrice, e l’autrice delle immagini di questo post), che sto corteggiando perchè scriva anche per noi assoluti profani, ho chiesto di darmi una mano a spiegarvi qual è la situazione reale. Il discorso che leggerete è valido anche per chi non mangia carne, ma utilizza ancora all’interno della sua alimentazione latte e formaggi, capirete il perché tra qualche paragrafo. Non è invece condivisibile dai vegani, che non mangiano nulla che provenga dal mondo animale, compresi miele, uova e derivati del latte.
A proposito dei vegani, ho parlato di loro e dell’assurda generalizzazione che si fa di questo termine e del suo significato, in un post su jenuino che credo chiarisca la questione, e dal quale spero traspaia il rispetto che provo per qualunque scelta alimentare, purché consapevole.
Premetto che in questo articolo mi riferisco unicamente agli allevamenti estensivi (quindi all’aperto), non a quelli intensivi, ché tanto qui sul pasto nudo sapete già quanto poco li amiamo. Oltretutto Marzia mi ha precisato che gli allevamenti intensivi di pecore e capre praticamente non esistono, per motivi del tutto pragmatici. Anche integrando l’alimentazione (che dev’essere unicamente a base di pascolo — cioè erba nella bella stagione — e fieno — cioè erba secca) con farine, mangimi e quant’altro, la resa non aumenterebbe infatti abbastanza per giustificare… l’impresa, a differenza di quello che succede con il mercato del manzo e tutte le amenità che ben sapete ci gravitano attorno.
Immaginate adesso di avere un gregge, che può essere vagante, cioè portato a pascolare in giro per i prati, in tutte le stagioni (compatibilmente con le condizioni climatiche), stanziale fisso (cioè gli animali hanno una stalla fissa e dei pascoli attorno)
oppure stanziale transumante (cioè in estate si sposta in alpeggio).
Poniamo che il gregge conti un centinaio di capre e di pecore; saranno quasi tutte femmine, perché di montoni (nel caso delle pecore) o di becchi (nel caso delle capre) ce ne potranno essere tipo uno ogni cinquanta capi. Altrimenti si ammazzano tra loro (a cornate, o in mancanza di corna, anche a testate), per la gestione dell’harem, come succede anche tra i cervi, i camosci e tutte le comunità di ungulati selvatici. In natura probabilmente i maschi in surplus tenderebbero ad allontanarsi per cercare un nuovo branco.
In realtà si può avere anche qualche maschio in più, che serve in caso i “titolari” abbiano problemi, ad esempio non siano fertili oppure siano indisposti proprio durante la stagione dei calori. Il problema per un allevatore è però che i maschi adulti mangiano e non producono latte, e non possono essere venduti neanche per la carne (a meno che non siano castrati), che a causa del sapore forte non è molto gradita in Italia (mentre pare sia molto apprezzata dalle comunità cinesi e marocchine che vivono nel nostro paese).
In agosto le capre (le pecore si accoppiano tutto l’anno) rimangono incinte, e in gennaio-febbraio partoriscono uno o due capretti a testa (raramente tre), ovviamente femmine e maschi.
Un tempo si lasciava che i capretti succhiassero il latte fino a quando fossero stati venduti (a due o tre mesi), e solo dopo si iniziava a mungere le capre. Adesso molti allevamenti dedicati alla caseificazione (che sono diversi di quelli dedicati alla carne) tolgono i capretti alle mamme dopo pochi giorni (subito dopo che hanno succhiato il colostro) e li alimentano con il latte artificiale in polvere (cosa che ovviamente non condivido), in modo da poter iniziare a mungere le capre immediatamente, e da guadagnare due mesi di formaggio in più da vendere.
Ad un certo punto, anche se le capre vengono allevate solo per il latte e quindi per fare il formaggio, un certo numero di piccoli vengono uccisi, perché lo spazio che il pastore ha per tenerli è sempre lo stesso, e non può permettersi che il gregge cresca troppo di numero. Per quanto riguarda gli agnelli vengono eliminati, nelle regioni dove questo è obbligatorio per disposizione ASL, tutti quelli che non sono resistenti alla scrapie, una malattia degenerativa del sistema nervoso non trasmissibile all’uomo, presente da secoli tra le popolazioni di ovicaprini (se non sbaglio esiste una malattia equivalente anche nelle capre).
È dal fatto che le capre partoriscono in primavera che nasce l’usanza di mangiare capretto proprio a Pasqua, per non sprecarne la carne. Queste parole che avete appena letto sono sicuramente impietose, ma ascoltate il ragionamento che ho fatto io e poi ditemi cosa ne pensate.
Poniamo per assurdo che nessuno di noi mangi né carne, né latte né formaggio. Come vivrebbero, per fare un esempio, le capre, in quel caso, se nessuno le allevasse? Probabilmente (ma è solo un’ipotesi) si dividerebbero in tanti piccoli branchi nei boschi e nelle campagne. Non avrebbero abbastanza da mangiare, e probabilmente invaderebbero i tantissimi orti dei loro amici umani, che visto che non mangiano nessun prodotto animale si vedrebbero derubati della loro unica risorsa alimentare.
A suo tempo il problema delle capre selvatiche era così grosso che la legge forestale arrivò a vietare il pascolo in bosco nella prima metà del secolo scorso e tale normativa è tuttora in vigore, perché oltre alle foglie e all’erba mangiano anche i germogli e la corteccia degli alberi, e quindi danneggiano seriamente le piante adulte, impedendo inoltre alle giovani di germogliare.
Ovviamente con il tempo pecore e capre diminuirebbero molto di numero, anche perché i cuccioli, non protetti dai pastori, sarebbero in grandissima parte razziati da lupi e altri animali predatori, che a causa della maggiore disponibilità di cibo aumenterebbero a dismisura, rendendo le campagne e le montagne molto pericolose per l’uomo (quest’ultima cosa sta già accadendo per altri motivi, ma ne parleremo in altra sede).
Vaste zone collinari e montane, che poi sono quelle più delicate per il dissesto idrogeologico e che vengono utilizzate dai pastori per il pascolo degli animali, verrebbero abbandonate da chi attualmente pratica la pastorizia, con conseguenze sulla fruibilità del territorio anche per il resto della popolazione.
Alla luce di queste informazioni non sembra anche a voi che se si consumano latte e formaggi non abbia senso evitare di mangiare capretti e agnelli? Non è forse meglio mangiarne con molta moderazione, acquistandoli direttamente da allevatori onesti che hanno curato amorevolmente i propri animali fino a quando è stato possibile?
Se vogliamo veramente uscire dalla logica dello struzzo che mette la testa sotto la sabbia, nella quale siamo immersi da due generazioni abbondanti, dobbiamo guardare in faccia la realtà con occhi pragmatici e sereni, e accettare il fatto che la natura è crudele almeno quanto è meravigliosa. E smettere di porci davanti al mondo animale con gli occhi di un bambino di cinque anni. È importante e giusto serbare in sé il fanciullino, ma bisogna anche discernere quando usarlo e quando no. A volte bisogna essere adulti per forza, e se non ce lo mettiamo in testa decrescere sarà molto difficile, anche se sicuramente più romantico e lieve.
Prima di lasciarvi voglio mostrarvi un documentario molto interessante, dal titolo emblematico, “Sopra la panca la capra campa”, di un certo Michelangelo Gandolfi. Se avete un’oretta di tempo e siete interessati all’argomento vi consiglio vivamente di vederlo, perché vi trasporta con la testa e lo stomaco nel mondo degli allevatori (quelli veri, non quelli del mulino bianco) di pecore e capre. Io l’ho guardato con la pulcina, che ovviamente adora tutto ciò che riguarda il mondo animale, e l’ho trovato molto istruttivo. I pastori che vi sono descritti mi sono sembrati innamorati delle loro capre, pur avendo la perfetta coscienza di quella che sarà la loro fine.
Decrescere, cioè crescere in modo intelligente e sereno, non è semplice né lieve. Vorrei sapere cosa ne pensate voi, soprattutto chi ha fatto una scelta vegetariana o vegana; voglio aprire un dialogo pacifico che dissolva l’aggressività che vedo ovunque in questo periodo (sapete che i pastori vengono spesso minacciati da alcuni estremisti a causa del loro lavoro?).
Sono pronta a dialogare, purché in modo sereno e pacifico (cestinerò come al solito unicamente i commenti molto aggressivi), e pregherò Marzia di aiutarci a capire ciò che può sapere solo chi le capre e le pecore non si limita a guardarle in fotografia, ma ci vive insieme ogni singolo giorno dell’anno.

(Fonte: ilpastonudo.it 19 marzo 2013)