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Biraghi: “Quote latte come venirne fuori”


Il presidente di Confindustria Cuneo, nonché industriale caseario, Franco Biraghi, ha scritto al ministro dell’Agricoltura per sottolineare che si va verso lo sforamento delle quote e suggerisce alcuni provvedimenti che potrebbero “mettere in sicurezza” il comparto.

LA LETTERA DI FRANCO BIRAGHI AL MINISTRO
“Gentile Signor Ministro, intendo segnalarle un gravissimo problema che rischia di causare danni irreparabili a tutta la filiera del latte italiano ed in particolare agli allevatori lombardi e piemontesi.
Mi riferisco al regime delle quote latte che nell’ultima campagna di applicazione rischia di distruggere i migliori allevamenti di vacche da latte non solo della pianura padana, ma anche di molte regioni del centro sud.
A pochi mesi dalla fine del regime delle quote, solo in provincia di Cuneo, rischiano di chiudere quasi 200 aziende agricole, tutte condotte dalla famiglia con qualche dipendente. Risultato: un migliaio tra imprenditori agricoli e loro dipendenti resteranno senza lavoro, senza la possibilità di trovarne un altro e senza ammortizzatori sociali.
Nelle ultime quattro campagne, l’Italia ha rispettato le quote latte e non ha dovuto versare multe alla Ce, ma ora, a causa del clima favorevole, la produzione di latte è in forte aumento in tutta Europa e senza un provvedimento che faciliti l’uscita morbida dal regime delle quote, la multa che gli allevatori dovranno pagare alla Ce sarà salatissima.
Quale titolare di uno dei principali caseifici della zona, ma soprattutto come presidente di Confindustria Cuneo, voglio significarle la mia grandissima preoccupazione per la tenuta dell’economia della mia provincia, che si regge sull’agricoltura, sull’agroalimentare e sull’indotto. Il danno economico, diretto ed indiretto, per il nostro Paese, è sicuramente superiore ai 700/800 milioni di euro.
Alle multe va aggiunto il costo degli affitti che gli allevatori devono versare a chi si arricchisce speculando sulle disgrazie altrui. Da un calcolo fatto dal nostro Centro studi con la collaborazione del mondo cooperativo locale, si stima che solo nella provincia di Cuneo il «pizzo» da pagare a chi «guadagna» senza dover lavorare dovrebbe superare i 10 milioni di euro.
Il costo degli affitti ha già superato i 6 centesimi al litro e senza un intervento immediato potrebbe ben presto raggiungere e superare i 15 centesimi mettendo in seria difficoltà gli allevamenti lombardi, piemontesi, veneti ed emiliani.
Il problema non è solo italiano ma coinvolge quasi tutti i paesi europei ad esclusione della Francia che, anche se ha una produzione in forte aumento (un incremento più che triplo di quello italiano) dispone di una notevole quantità di quote e quindi non dovrà pagare multe. Il rischio è che, per salvarsi, i francesi puntino sul collasso degli allevatori italiani per poter collocare i loro esuberi sul nostro mercato.
La soluzione, tecnicamente percorribile, che accontenterebbe anche la maggior parte degli stati europei è di aumentare del 12/15% il tenore del grasso di riferimento in tutti i paesi della Ce.
A livello italiano questa soluzione va condivisa il più possibile e ritengo che il risultato si potrebbe ottenere convocando urgentemente un tavolo di emergenza sulle quote latte.
Se riterrà di scegliere questa strada, Le sarei molto grato se volesse invitarmi.
Con il Suo impegno ed approfittando delle opportunità derivanti dal nostro semestre di Presidenza, sono sicuro che Lei potrà conseguire un risultato di grande utilità non solo per l’Italia, ma anche per tutta l’Europa”.

LA POSIZIONE DI CIA PIEMONTE
La produzione di latte è effettivamente in aumento. Secondo i dati forniti da Agea, dall’inizio della campagna lattiera in Piemonte si sono verificati i seguenti aumenti delle consegne rispetto al 2013: ad aprile del 6,01%, a maggio del 5,37%, a giugno del 6,39%, a luglio del 7,90%. Analogo trend in Italia. Si sta delineando una situazione particolarmente delicata, che va seguita con molta attenzione. Questa è anche l’ultima campagna di applicazione del regime delle quote latte.
Nessuno nega agli industriali il diritto di avanzare delle proposte per evitare che l’aumento della produzione, ed il conseguente possibile sforamento delle quote, causino ”danni irreparabili a tutta la filiera del latte”. Modificare i coefficienti sulla materia grassa del latte per il calcolo delle quote non è un’idea sbagliata, ma quando le proposte riguardano anche chi produce il latte e non solo chi lo trasforma, gli industriali dovrebbero usare la cortesia di confrontarsi preventivamente con le rappresentanze del mondo agricolo. Non possono pretendere di essere gli unici interpreti della volontà dell’intera filiera, produttori compresi.
Inoltre, gli industriali dovrebbero tener presente che la priorità assoluta, per evitare la “distruzione della filiera del latte”, é garantire ai produttori un’equa remunerazione del latte alla stalla, che copra almeno i costi di produzione. Gli allevatori sono molto preoccupati per i ribassi ingiustificati del prezzo del latte applicati negli ultimi due mesi dai caseifici.
Un giusto prezzo è fondamentale per garantire la sopravvivenza di uno dei comparti nevralgici dell’economia agricola di tutto il Piemonte, anche quando il mercato del latte non sarà più disciplinato dalle quote.
Relativamente all’argomento delle “multe” sollevato da Biraghi rinnoviamo la nostra posizione: far pagare le multe agli splafonatori è una questione di giustizia nei confronti di quella stragrande maggioranza di allevatori che, facendo grandi sacrifici, ha pagato per l’acquisto delle quote latte o si é limitata nella produzione per rimanere all’interno della quota assegnata.
Ed è anche una questione economica. Il Governo italiano, sostituendosi tra il 1995 ed il 2009 ai produttori nel pagamento delle multe per i surplus di latte prodotti, ha utilizzato fondi pubblici, ovvero soldi di tutti gli Italiani. Recuperare quei fondi è un dovere per il Governo, alle prese con gravissime difficoltà di bilancio.
Le pendenze riguardano circa duemila produttori, dei quali seicento devono pagare somme superiori a 300.000 euro, cioè la gran parte del debito. Questi ultimi sono produttori che spesso hanno prodotto dopo aver venduto le loro quote, consapevoli di mettere in atto un comportamento scorretto.
Sul problema la Cia del Piemonte è sempre stata chiara, sostenendo la necessità di cambiare di cambiare le regole, che penalizzavano l’Italia costretta ad importare il 50% del proprio fabbisogno di latte, ma anche l’obbligo di rispettarle finché non fossero state cambiate.
Per troppo tempo si è speculato politicamente e si è messa la polvere sotto il tappeto. E’ arrivato il tempo di chiudere definitivamente la vicenda.