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Agricoltura industriale quali meriti e quali colpe?


Il 22 maggio é stata la giornata della biodiversità, la cui perdita è oggi uno dei problemi di maggiore importanza su scala mondiale ed è anche al centro del dibattito su come “nutrire il pianeta”, che è il titolo dell’Expo di Milano.
Scrive Slow Food: “In settant’anni (ovvero nell’epoca dell’agricoltura “industriale”, nata negli anni Cinquanta), abbiamo perso in questo modo il 75% delle varietà vegetali che erano state domesticate e selezionate dai contadini nei precedenti diecimila anni”.
Altri esperti ed associazioni ambientaliste, più correttamente, attribuiscono la perdita di biodiversità ad una pluralità di cause, ma anche ammesso che sia tutta colpa dell’agricoltura cosiddetta “industriale”, è bene ricordare che l’agricoltura cosiddetta ”industriale” ha anche qualche merito: grazie all’agricoltura cosiddetta “industriale” i tremendi e quasi incredibili squilibri alimentari di prima della seconda guerra mondiale sono ormai soltanto un ricordo. Ora c’è cibo per tutti ed a prezzi contenuti. Quando c’era (forse) molta più biodiversità la gente non aveva di che mangiare o mangiava malissimo.
Solo dopo la fine della guerra, grazie agli allevamenti “industriali”, le proteine animali, ad esempio, sono diventate accessibili per tutti, mentre prima della guerra il consumo di carne rossa e bianca, di prosciutti, di pesce, ma anche di latticini, uova ecc.ecc., era riservato a pochi privilegiati. Quando parliamo di bolliti, stufati, lessi, arrosti, brasati e quant’altro come piatti “popolari” siamo sicuri che fossero davvero conosciuti dal “popolo”? Persino il consumo di ortaggi e di frutta era di carattere elitario. La pellagra, malattia molto diffusa nelle campagne dell’Italia settentrionale, fu sconfitta solo nella seconda metà del XX secolo, quando i contadini incominciarono a godere di un reddito più elevato grazie all’”industrializzazione” dell’agricoltura e di conseguenza a nutrirsi meglio, e non più soltanto di mais.
La discussione sul tema della biodiversità è molto accesa, con i “contendenti” spesso più interessati a mantenere una posizione di principio che non ad entrare nel merito della questione. Soltanto se il dibattito, invece, supererà le contrapposizioni ideologiche, si potrà cercare, caso per caso, quale soluzione sia la più adatta per bilanciare le esigenze di produttività e la tutela della biodiversità.
Un atteggiamento di accettazione passiva e rassegnata dei fenomeni di sparizione di specie vegetali ed animali antiche non è tollerabile, ma del problema non puo’ farsi carico il mondo agricolo con le sue sole forze e neppure ci si puo’ affidare alle iniziative di singoli agricoltori di buona volontà che decidono di praticare un’agricoltura tradizionale e si tramandano semi o altre parti di piante di generazione in generazione. Della salvaguardia della biodiversità devono farsi carico in primo luogo le Istituzioni pubbliche che devono mettere in campo azioni ad ampio raggio volte a garantire la conservazione degli habitat, delle piante e degli animali in via di estinzione.

(Fonte: Cia Piemonte)