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Vino italiano, segnali preoccupanti dalla Cina


I dati sull’export del vino italiano, presi nel loro insieme, sono confortanti – il valore del vino esportato nel 2013 ha superato la soglia dei 5 miliardi-, ma ci sono anche ragioni per essere preoccupati. Il consumo globale si sta spostando verso oriente, ma proprio in uno dei Paesi più importanti e più popolosi dell’oriente, la Cina, il vino italiano stenta ad affermarsi. Gli ultimi dati sulle esportazioni dei nostri vini nel Paese del Dragone sono affatto tranquillizzanti. Il fatturato nel 2013 ha riportato danni limitati (-3%), ma c’è stata una vera e propria caduta in quantità: -33%. Una débâcle legata solo parzialmente all’indagine antidumping sull’import di vini europei.
Va detto innanzitutto l’Italia enoica è arrivata tardi in Cina, quando la Francia aveva già conquistato la leadership nell’export ed ora è molto difficile recuperare le posizioni perdute. Su 100 bottiglie di vino estero che vengono stappate in Cina, 51 sono francesi e solo sei italiane, meno persino di Australia (14) e Spagna (sette). Nel 2006 i francesi vendevano in Cina tre volte il vino degli italiani. Oggi otto volte di più. “Soldi lasciati sul piatto”, come si legge testuale nel rapporto Ismea 2013.
Tra i vini italiani esportati in Cina, i vini rossi piemontesi sono secondi dopo i vini rossi toscani, ma si tratta sempre di quantità non molto significative. In questo momento la speranza per il Piemonte è costituita dall’Asti docg che ha preparato lo sbarco in Cina con meticolosità e fantasia, fuori dai consueti canoni e percorsi, ma i risultati si vedranno solo in futuro.
Come se non bastassero le difficoltà che i vini italiani incontrano sul mercato cinese, secondo i dati dell’Oiv, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, nel 2013 i consumi in Cina sono scesi del 3,8% sul 2012, a 1,7 miliardi di litri complessivi, l’equivalente di 2,27 miliardi di bottiglie.
In questo panorama, le prospettive future per le esportazioni del vino italiano in Cina appaiono per lo meno complicate, anche perché i produttori italiani non riescono a fare sistema, a differenza dei.produttori transalpini che hanno investito ingenti risorse per aiutare gli importatori a collocare i propri prodotti sul mercato. L’Italia è anche l’unico paese vinicolo importante a non avere un “generic body of promotion”, come il Wine Australia, il Wine of Chile, il Wines from Spain, la Sopexa, che possa coordinare la comunicazione in modo uniforme e possa impostare progetti di grande respiro, sviluppati sul medio e sul lungo termine, necessari per affrontare mercati emergenti dove si deve praticamente cominciare da zero.
La performance insoddisfacente dei nostri vini in Cina non va sottovalutata.
I Paesi in via di sviluppo, e in particolar modo la Cina, rappresentano una di quelle criticità che, insieme alla contrazione dei consumi interni, rischiano un domani di offuscare gli attuali brillanti risultati del nostro export. In primo luogo perché già oggi la Cina è il quinto mercato al mondo per quantità di vino consumata e secondo numerosi analisti diventerà il primo entro il 2020. In secondo luogo perché i principali clienti dei produttori vinicoli italiani sono quei Paesi occidentali che, risentendo maggiormente della crisi, rischiano di diminuire la loro domanda verso prodotti di questo tipo. Per questi motivi è assolutamente necessario approfondire la questione ed urgente trovare soluzioni, prima che sia troppo tardi.

(Fonte: Cia Cuneo)