Vigneti, l’Europa frena sui diritti di impianto
Primo passo indietro sulla liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti. Il Gruppo ad alto livello Ue, incaricato di analizzare la questione, ha terminato il suo lavoro con la redazione di una relazione.
Innanzitutto è emerso un consenso sulla necessità assoluta di mantenere un dispositivo di gestione degli impianti di vigneti all’interno dell’Unione europea per tutte le categorie di vini (denominazioni di origine protetta, indicazione geografica protetta e i vini senza indicazione geografica), dopo la fine dell’attuale regime.
Gli esperti ritengono essenziale avere un meccanismo dinamico che crei le condizioni favorevoli per lo sviluppo equilibrato del settore vitivinicolo europeo. Il Gruppo di alto livello ha studiato varie opzioni per il futuro e proposto un sistema di autorizzazione di nuovi impianti applicabile a tutti i vini, che dovrebbe essere gestito dagli Stati membri tenendo conto delle raccomandazioni delle organizzazioni professionali rappresentative riconosciute (interprofessioni, consorzi di tutela, camere di commercio). Tutti i nuovi impianti dei vigneti per tutti i tipi di vini saranno sottoposti alle modalità di autorizzazione. Le autorizzazioni saranno gratuite, e non alienabili e valide per un periodo limitato di 3 anni.
Questo sistema sarà dotato di una clausola di salvaguardia o tetto massimo stabilito a livello comunitario, che consiste nella fissazione di una percentuale annua di nuovi impianti autorizzati. Gli Stati membri avranno la possibilità di prevedere una percentuale inferiore a livello nazionale, regionale o per una categoria di vino determinata, a determinate condizioni.
In caso di domande individuali ammissibili inferiori alla percentuale fissata a livello nazionale, l’insieme delle richieste di autorizzazione saranno accolte. In caso di domande superiori alla percentuale stabilita a livello nazionale, le autorizzazioni verranno concesse sulla base di criteri di priorità oggettivi e non discriminatori stabiliti a livello Ue, con possibili ulteriori criteri nazionali che rispettino gli stessi principi.
Il nuovo sistema si applicherà per un periodo potenziale di 6 anni, con una clausola di revisione.
Infine, saranno previste delle disposizioni transitorie. Queste conclusioni saranno presentate al Consiglio e al Parlamento europeo, ed alimenteranno il dibattito in corso nel quadro della riforma della Politica agricola comune.
È evidente che, rispetto alla prevista liberalizzazione degli impianti (già scritta nelle norme Ue) e il negoziato “in salita” con la Commissione europea, il risultato raggiunto è sicuramente positivo, come auspicato da Coldiretti. Oggi la Commissione, così come già ha deciso lo stesso Parlamento europeo, ha compreso le preoccupazioni dei Paesi produttori e ha dimostrato una concreta volontà di individuare un modello di gestione del potenziale produttivo, sebbene diverso dal sistema dei diritti di impianto.
Purtroppo però ci sono ancora molti punti che necessitano di importanti chiarimenti. Il documento fornito dalla Commissione non è sufficientemente chiaro sul concetto di ammissibilità delle richieste di impianto, che dovrà essere legato a criteri minimi generali fissati a livello Ue. Se così non fosse, il nuovo sistema nasconderebbe di fatto una liberalizzazione nell’ambito della percentuale di incremento.
È estremamente importante quindi che il nuovo sistema preveda una clausola di salvaguardia fissata a livello Ue ad una percentuale molto bassa e sicuramente inferiore a quella proposta dalla Commissione (era del 2%). Inoltre, bisognerà specificare meglio la portata delle misure transitorie che necessariamente dovranno accompagnare il passaggio al nuovo sistema con particolare riguardo ai diritti in portafoglio detenuti dai produttori.
Su questi aspetti bisognerà quindi lavorare per costruire un sistema che possa effettivamente consentire una maggiore flessibilità e capacità di adattamento al mercato, ma senza incorrere nel rischio di una “deregulation” che finirebbe per modificare il volto della vitivinicoltura europea, determinando una considerevole spinta verso le aree produttive meno vocate e i Paesi dell’Est Europa.