Sezioni


Siamo nel pieno della terza guerra mondiale


Fino a qualche anno fa, qualunque persona di buon senso, faceva gli scongiuri per evitare che il mondo dovesse vivere la III guerra mondiale. Gli scongiuri erano rivolti agli armamenti nucleari, alla chimica ed alle tensioni generate dalle diverse fedi religiose, culminate con il fanatismo dell’ 11 settembre 2001.
Oggi dobbiamo prendere atto che, pur rimanendo alto il pericolo di una guerra con le armi e la tecnologia, la III guerra mondiale è in atto ed ha, come protagonista, l’economia. Pensiamo al recente caso dell’embargo della Russia: 200 milioni di frutta fresca ed ortaggi e 45 milioni di euro di formaggi italiani che nel 2013 sono stati venduti in quel mercato. Oltre al mancato export anche l’appesantimento del nostro mercato. Delle pesche i prezzi alla produzione sono stati irrisori. Sul mercato interno il Parmigiano Reggiano che si vendeva all’ingrosso, prima dell’embargo russo, a 7,70 euro al chilo, ora si vende a meno di 7, mentre il Grana Padano quotato prima dell’embargo a 6,80 euro al chilo ora raggiunge a malapena i 6 euro.
Sono sicuramente problemi molto grandi per i quali diventa difficile individuare le soluzioni, se non quella di insistere, come sta facendo Coldiretti, nei confronti della Commissione Europea affinché sostenga le nostre produzioni con interventi concreti e mirati.
Ma non basta. Dopo l’embargo russo, l’Europa ci sta inondando di prodotti. Tutto quello che era destinato alla Russia ora arriva anche in Italia generando una crisi economica senza precedenti. Dalla Polonia arrivano mele a prezzi irrisori poiché i loro costi di produzione sono al di sotto della metà dei nostri. E’ vero che la qualità è inferiore, ma oggi il mercato è molto orientato a considerare il prezzo.
Se a questo aggiungiamo che i nostri allevamenti non beneficiano del ribasso dei prezzi delle materie prime a livello mondiale che vanno a comporre i mangimi, notiamo come anche il prezzo del latte stia attraversando momenti di difficoltà. Già ci immaginiamo la domanda degli allevatori che ci stanno leggendo: perché il ribasso della soia e delle altre materie prime che importiamo e degli altri cereali non si fa sentire sui costi di produzione degli allevatori? Risposta semplice: la maggior parte dei nostri allevatori acquista il mangime dai mangimifici i quali non hanno ribassato i prezzi e stanno facendo business sulla materia prima che utilizzano. Questo non avviene, ad esempio, in Lombardia dove le imprese agricole normalmente si producono i mangimi aziendalmente e quindi beneficiano del ribasso dei prezzi delle materie prime.
Per questi motivi Coldiretti e Consorzi Agrari del Piemonte stanno lavorando alla edificazione di una filiera, che riesca a rendere disponibili mangimi realizzati con produzioni del territorio ed a prezzi equi.
Intanto, l’industria di trasformazione sta tentando ogni possibile speculazione, anche attraverso la spinta ad aumentare il titolo di grasso a livello europeo, che comporterebbe un automatico incremento delle quote di produzione assegnate ai singoli stati membri, al fine di abbassare il prezzo del latte alla stalla. Il tentativo è anche quello di far saltare il meccanismo del prezzo indicizzato che ha dato risultati economici concreti negli ultimi 4 anni ponendo fine, almeno in Piemonte, ad una situazione medioevale di trattative.
E ancora un esempio di questo strano momento economico europeo. Le nocciole hanno prezzi esorbitanti grazie al fatto che in Turchia vi è stata la gelata di aprile per cui la richiesta è superiore all’offerta. Le conclusioni le lasciamo ai soci imprenditori, ma una considerazione la vogliamo fare. L’impresa agricola, in qualunque settore operi, deve acquisire una maggiore capacità di organizzarsi, evitando di soggiacere allo strapotere degli altri momenti della filiera, presentandosi in ordine sparso. Il vecchio detto “divide et impera” è sempre attuale. Il sistema industriale ed ancor di più la distribuzione organizzata, di cui la stessa industria finisce per esser vittima più o meno consapevole, tendono a considerare l’ impresa agricola come l’ ultimo anello della filiera sul quale scaricare le tensioni economiche. Occorre realizzare le filiere attraverso contratti chiari, trasparenti e con equa remunerazione per i diversi attori della stessa. L’individualismo imprenditoriale porta ad indebolire il potere contrattuale dell’ impresa agricola soprattutto quando il mercato è sfavorevole. Nel caso della frutta, delle carni suine e degli ortaggi mancano industrie di trasformazione che il mondo agricolo ha l’ obbligo di sviluppare innanzitutto per il suo interesse.
Non si può impostare l’agricoltura del domani sperando che altri cambino le regole. La stessa agricoltura ha bisogno di assumere la convinzione di non poter più continuare ad assecondare quelle logiche, con le quali siamo giunti alla crisi dell’intero sistema.

(fonte: Coldiretti Piemonte)