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San Giovanni, i giorni dei marghè all’alpeggio


Nei giorni intorno a San Giovanni, le mandrie salgono agli alpeggi. Quest’anno la monticazione risente dell’andamento climatico negativo che ha fatto rinviare di qualche settimana l’accesso alle località d’Alpe, che nella sola provincia di Cuneo sono 370, in gran parte di proprietà comunale. In alto fino a pochi giorni fa c’era ancora la neve e quindi si sta registrando un problema d’erbaggio che provoca un comprensibile ritardo nel trasferire ai pascoli i circa 30 mila capi, soprattutto bovini di razza Piemontese, interessati alla migrazione. Un movimento dai numeri consistenti anche sul piano delle persone coinvolte: calcolando due-tre addetti per alpeggio più qualche collaboratore, sono all’incirca un migliaio i “marghè”, i malgari custodi di una sapienza millenaria, che lasciano la piana per trascorrere l’estate sui monti.
Parliamo dunque di una realtà imponente, che conferma la validità di una pratica che in Piemonte ha storia relativamente recente. Prima dello spopolamento della montagna e la desertificazione delle comunità valligiane, il pascolo in quota era riservato – anche in virtù degli usi civici – agli allevatori locali. Negli ultimi decenni, proprio per la caduta demografica sulle terre alte, il fenomeno dell’alpeggio ha ripreso vigore grazie ai malgari, molti dei quali discendenti di famiglie montanare che hanno lasciato i paesi d’origine e deciso di scendere in pianura per motivi di sopravvivenza economica.
Il ritorno all’Alpe è occasione di festa rituale, con i tradizionali cortei di uomini e animali cadenzati dal suono dei campanacci, e insieme rappresenta un significativo momento per la zootecnia piemontese. Va ricordato infatti che la pratica dell’alpeggio non è soltanto il trasferimento delle mandrie in montagna: si tratta sempre e comunque di attuare pratiche allevatoriali rispondenti a puntuali regole in un ambiente che per le sue caratteristiche richiede massima cura e rispetto. Nei manuali dell’Apa, l’associazione degli allevatori, l’argomento ha tutta una sua trattazione. L’alpicoltura è in primo luogo conservazione delle essenze foraggere pregiate, tenendo conto dell’equilibrio tra le leguminacee e le graminacee. Di qui la necessità di mantenere un corretto rapporto tra pascoli e mandrie, tra numero degli animali e la superficie, con l’uso di recinti, piste, ricoveri. Altro punto fondamentale è l’esigenza di assicurare i punti d’acqua ai bovini, che non devono essere costretti a lunghi e pericolosi percorsi per dissetarsi.
“Per fortuna – sottolinea Bartolomeo Bovetti direttore di Apa Cuneo – i nostri marghé sono depositari di conoscenze e tecniche apprese dai padri e costantemente supportate dalle innovazioni tecnologiche. Dal loro lavoro deriva il grande benessere dei bovini e la valorizzazione della razza Piemontese anche come soggetto chiave della filiera lattiero-casearia”.