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Ora che la decrescita c’è si scopre che non è felice


Molti intellettuali, scrittori e personaggi dello spettacolo (la presentatrice Serena Dandini, il meteorologo Luca Mercalli, l’enogastronomo Carlo Petrini, lo scrittore Sandro Veronesi, per fare dei nomi) avevano aderito con entusiasmo al club della decrescita felice e davano per certo che la crisi economica sarebbe stata l’inizio di “una trasformazione positiva verso una civiltà più evoluta, come è avvenuto con il passaggio dal medioevo al rinascimento” (Maurizio Pallante, intellettuale italiano di riferimento dei “decrescisti”).
I supporter della “decrescita felice” erano convinti che la crisi avrebbe spinto i cittadini a ricreare un nuovo senso comune senza sprechi, senza il superfluo e l’inutile. Tutti più frugali, tutti più solidali.
Le cose stanno andando diversamente. Il Paese è in recessione, il pil italiano nel secondo trimestre del 2014 è diminuito di un ulteriore 0,2%, ma la gente non sta passando “da un discorso di quantità a un discorso di qualità”. Taglia invece in modo indiscriminato le spese per far quadrare i conti di fine mese, badando più al prezzo che non alla qualità. Si consuma meno ed anche peggio.
La crisi in atto, lungi dal creare le condizioni per un mondo composto da gente sobria, felice e soprattutto solidale, come prevedevano i “decrescisti”, ha ampliato le diseguaglianze sociali: mentre, a causa della crisi, la disoccupazione, soprattutto tra i giovani, rimane altissima e molti sono “decresciuti” fino a finire in miseria, altri invece sono cresciuti e mangiano a quattro palmenti. L’esclusione sociale è aumentata.
Il fatto è che il concetto di decrescita non trova alcun spazio nei dipartimenti di Economia, ma abbonda sulla bocca di intellettuali tuttologi, che cercano di coprire le loro lacune tecnico-scientifiche con un raffinato eloquio e con frasi piacevoli all’orecchio (l’”abbondanza frugale” di Serge Latouche), ma prive di sostanza.
Gli intellettuali della decrescita felice si sono ora chiusi in un orgoglioso silenzio, delusi dal comportamento del popolo, che, al contrario di quanto essi auspicavano, spera che il nostro Paese finalmente torni a crescere.

Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte