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Meccanizzazione agricola in montagna, la nuova sfida


Nel territorio montano l’emigrazione definitiva, che lo ha caratterizzato nell’ultimo cinquantennio, ha colpito pesantemente le forme di produzione tradizionali, a cominciare dalla castanicoltura. Di conseguenza aree destinate alle coltivazioni agricole ed edifici e altri manufatti rurali, vie di comunicazione hanno finito di lasciare il posto alla ruderizzazione delle strutture, al rimboschimento non come processo di rinaturalizzazione bensì in quello negativo di aumento del rischio idrogeologico. Negli ultimi tempi si è comunque assistito ad un significativo risveglio dell’interesse per la castanicoltura stante l’evoluzione favorevole di alcune vecchie e nuove patologie della pianta, il rilancio del mercato delle castagne, un potenziale di interessanti prospettive per un prodotto ecologico e naturale e, non ultimo, la presa di coscienza dell’ importanza del castagneto quale elemento paesaggistico e culturale.
Se la ragione principale dell’abbandono della castanicoltura, è noto, è stata individuata nella constatazione di un’attività agricola non più sufficientemente redditizia, o percepita come tale, legata a una commercializzazione, nel recente passato, scarsamente valorizzante il prodotto, dobbiamo nel contempo rilevare come motivo di scarso appeal per i giovani nel ritorno alla castanicoltura la scarsa innovazione nei modi del lavoro agricolo in montagna. Un’attività che è stata, ed è, scarsamente supportata dai processi di meccanizzazione che altrove hanno, invece, sostenuto il settore primario.
Le macchine, concepite per rispondere alle necessità della dominante agricoltura di pianura e delle sue strabilianti rese, risultano infatti ben poco adatte a spazi stretti e disomogenei come quelli dei versanti, spesso ripidi, delle aree montane. Un territorio, questo, considerato non sufficientemente interessante (e remunerativo) per giustificare gli investimenti necessari alla produzione di macchinari adeguati. Ora, di fronte ad un constatato, recente, nuovo interesse per il ritorno dei giovani in montagna, anche per la castanicoltura parrebbe logico veder diffondersi anche da noi macchine operatrici che agevolino la raccolta, la selezione del prodotto.
Il punto è che questa meccanizzazione specifica è costosa e, purtroppo non abbiamo, per il momento almeno, informazioni positive che nella nostra Regione, nell’ambito del nuovo PSR, ci sia traccia di un eventuale contributo, determinante per la convenienza dell’acquisto e dell’utilizzo di queste macchine.
Macchine che esistono, anche se da poco tempo, prodotte da artigiani sensibili alla problematica e specificamente progettate per soddisfare le condizioni di lavoro dei castanicoltori, macchine pratiche, utili ed efficienti come abbiamo potuto constatare di persona provandole in campo. Un gruppo di castanicoltori bovesani ha avuto, infatti, in questi giorni un incontro con il titolare dell’azienda Chianchia di Cherasco, produttrice di macchinari specifici per la raccolta del frutto, ed effettuato prove pratiche che hanno fornito risultati molto soddisfacenti. Si tratta di macchine di dimensioni ridotte che ne permettono l’utilizzo con trattori di piccola e media potenza per facilitare sia la raccolta anche in zone impervie e sia la successiva selezione in azienda con separazione delle castagne in modo veloce e preciso da terriccio, pietre, foglie e pezzetti di legno.
Per questo rinnoviamo l’invito alla Regione Piemonte di non dimenticare nel programma del nuovo PSR, la concessione di contributi, ai proprietari o ai conduttori dei castagneti, a copertura parziale delle spese per l’acquisto di macchinari che agevolano il loro pesante lavoro.

Marco Bellone, Cia Cuneo