Sezioni


Ma un vino può davvero essere “libero”?


Oscar Farinetti ha recentemente comprato una pagina de “La Stampa” per pubblicizzare il vino “libero” prodotto dalla rock star Gianni Nannini. E’ l’ultima di una serie di pagine di pubblicità dedicate al cosiddetto vino “libero” apparse sui quotidiani nazionali negli ultimi mesi, che hanno gettato un po’ di scompiglio e di confusione sui concetti che ruotano attorno a naturalità e produzioni biologiche.
Il nostro apprezzamento per Oscar Farinetti è fuori discussione. E’ un imprenditore molto capace, con un sorriso da furbacchione illuminato che potrebbe vendere petrolio agli arabi. La sua creazione, Eataly, è un successo italiano nel mondo. Tuttavia la dicitura “libero” legata al vino desta non poche perplessità. Le stesse perplessità che suscita la dicitura “naturale”. Vino “libero” e vino “naturale” sono definizioni che rischiano di disorientare i consumatori. A differenza del vino biologico, legato a determinate caratteristiche di produzione definite a livello comunitario, il vino “libero” e quello “naturale” sono autodisciplinati: non rispondono quindi ad una normativa inequivocabile, chiara ed esclusiva. In Europa non è consentito il commercio di vino che presenti aggettivi, nelle confezioni, negli imballaggi o nelle etichette, riferiti a disciplinari di produzione non ufficialmente regolamentati. Per questo motivo o l’Europa definisce una norma specifica per la dicitura vino “libero” o la dicitura va vietata. Soltanto l’Unione europea, non un singolo o un gruppo di produttori, può fissare le regole riguardanti l’etichettatura dei vini e stabilire quali indicazioni e designazioni possono essere riportate in etichetta. Un vino potrà essere messo in commercio con la dizione “libero” solo se e quando la Unione Europea ne definirà in modo preciso i limiti e le caratteristiche e lo collegherà a sistemi di certificazione, così come è avvenuto per il vino “biologico”. Altrettanto per la dizione “naturale”. E’ inoltre interesse degli stessi produttori che ci siano delle regole precise. La locuzione “libero” attribuita al vino è oltre tutto molto ambigua. Di fronte alla locuzione “libero”, qualcuno potrebbe pensare di trovarsi davvero davanti a un vino prodotto senza chimica, mentre le cose sono, diciamo così, un pochino più variegate. E’ quanto meno curioso, per non dire distonico, il fatto che la Syngenta sia partner del progetto vino “libero”. Syngenta è un colosso mondiale dell’agro-business, che produce diserbanti e fitofarmaci. Andrea Macchione, amministratore delegato di Fontanafredda e capofila dell’Associazione del vino “libero” ha dichiarato: ” La collaborazione con Syngenta nasce dalla volontà di unire due realtà fortemente impegnate nell’innovazione e nella tutela dell’ambiente. Entrambe crediamo nella realizzazione di un prodotto di qualità che rispetti le sempre più stringenti tematiche in materia di sostenibilità”. Sarà tutto vero e non abbiamo nessun motivo per dubitare, ma si avverte distintamente, inutile negarlo, profumo di marketing.

(Fonte: Confederazione agricoltori italiani del Piemonte)