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Il vino va liberato dalla burocrazia


La “semplificazione” è un termine enunciato da anni da tutti i Governi ma, nella pratica, mai attuato. Più facile per i controllori contestare violazioni, omissioni burocratiche, sovente solo formali, e di conseguenza “multare” che diffidare chi ha errato dandogli un breve lasso di tempo per mettere le cose a posto, trascorso il quale ripassare e, nel caso di inadempienza, solo allora “sanzionare”. Nel corso del recente convegno sul vino organizzato a Serralunga d’Alba, il vicepresidente vicario della Cia di Cuneo, Claudio Conterno, ha sollevato la questione in un intervento ampiamente condiviso da tutti i partecipanti.
Nella Legge n.116 dell’agosto 2014, meglio nota come Campolibero, è stato introdotto l’obbligo per l’organo di controllo, nel caso di accertamento per la prima volta di violazioni amministrative, dell’applicazione della “diffida ad adempiere” alle prescrizioni violate, nel termine di 20 giorni dalla data del verbale ma, nonostante la buona norma, la macchina burocratico-amministrativa non in tutti i casi si mette immediatamente nelle condizioni di applicare con tempestività novità importanti e da lungo tempo attese dalle imprese.
E’ davvero il caso di evidenziare che è la burocrazia ad ubriacare, non il vino. Una sottolineatura sostenuta dai dati: la macchina amministrativa ogni anno sottrae al mondo agricolo – e in particolare al comparto vitivinicolo- oltre 4 miliardi di euro, il 30 per cento dei quali addebitabile a ritardi, a disservizi e inefficienze della Pubblica amministrazione. Analisi recenti rivelano che ad ogni azienda agricola, nel suo complesso, la burocrazia costa circa 2 euro all’ora, 20 euro al giorno, 300 al mese e ben 7.200 l’anno: laddove possibile il comparto vitivinicolo paga ancor maggior dazio, essendo più di altri soggetto a continue e costose verifiche da parte di organismi pubblici di controllo. Quello del vino è un settore su cui si concentrano controlli e soprattutto adempimenti di varia natura, in misura superiore rispetto ad ogni altro comparto del settore agroalimentare. Per arrivare a “tappare” una bottiglia di vino doc, un viticoltore deve avviare un iter burocratico oltremodo complesso che inizia con la richiesta di poter piantare la vite, con l’attesa della verifica e la successiva iscrizione della vigna all’albo. Questo è solo l‘inizio: in totale sono 21 gli uffici amministrativi a cui il viticoltore deve rivolgersi per ottenere le agognate certificazioni e avviare infine la produzione e la vendita. Non esiste infatti un unico organo a cui fare riferimento: prima il Comune, poi Provincia, Regione, Camera di Commercio, Asl, Inps, Inail, Cciaa, Agenzia delle entrate, Vigili del fuoco, Guardia forestale, Carabinieri, Consorzi di tutela e ancora Polizia municipale, Guardia di finanza, Ufficio repressione frodi. Inoltre alcuni di questi organismi interagiscono con uffici diversi che spesso non comunicano fra loro. Ciò rende praticamente impossibile per un viticoltore districarsi da solo in questa selva di uffici e di carte bollate: nel 65 per cento dei casi è difatti costretto ad assumere una persona che svolga questa attività per suo conto, mentre il restante 32 per cento si rivolge ad un professionista esterno. I costi aggiuntivi sono facilmente immaginabili.

Claudio Conterno

(nella foto: Claudio Conterno)