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Il Piemonte rilancia la scommessa dell’associazionismo fondiario, opportunità di sviluppo per la montagna


In Piemonte, le Associazioni Fondiarie, nate dal 2012 e già attive, sono diverse: in provincia di Cuneo, a Carnino e Upega, nel Comune di Briga Alta, in Alta Val Tanaro; a Montemale, in Valle Grana; a Ostana, in Valle Po; a Stroppo e Macra, in Valle Maira; in provincia di Alessandria, ad Avolasca e Caldirola; in provincia di Torino, a Lauriano e Usseglio. Nel novembre 2016, la Regione, grazie all’impegno dell’assessore Alberto Valmaggia, ne ha ufficializzato la costituzione con la Legge approvata in sede legislativa dalla Commissione Attività Produttive, Montagna e Turismo.

Quali sono gli obiettivi del provvedimento? Favorire la ricucitura e il recupero dei tanti terreni frazionati e incolti che sono presenti nelle terre alte e nelle zone collinari (in Piemonte il 53% della superficie complessiva), per renderli nuovamente produttivi e, di conseguenza, appetibili al riuso. In quale modo? I proprietari degli appezzamenti li conferiscono all’Associazione la quale, poi, elabora un Piano di gestione funzionale alle loro caratteristiche e li affitta a un fruitore che può essere un socio, un gruppo di soci o un imprenditore esterno. La stessa Associazione deve investire gli utili nell’ulteriore miglioramento tecnico delle aree rimesse insieme. I proprietari non utilizzatori del fondo rigenerato hanno un duplice vantaggio: mantengono la proprietà dell’area resa disponibile anche per gli eredi e ottengono una valorizzazione dei terreni prima abbandonati. Inoltre, possono esercitare il diritto di recesso all’adesione nel rispetto dei vincoli contrattuali tra l’Associazione e chi coltiva i terreni recuperati.

La Legge prevede dei contributi. Alle Associazioni Fondiarie viene riconosciuto fino all’80% della spesa sostenuta per costituirle, mentre i proprietari privati delle aree ricevono l’importo una tantum di 500 euro per ogni ettaro concesso di superficie utilizzabile, ma a condizione che lo mantengano disponibile per almeno 15 anni. In quest’ottica la Regione ha previsto lo stanziamento di 300.000 euro all’anno.

Inoltre, il Comitato di Sorveglianza sul Programma di Sviluppo Rurale (Psr) 2014-2020 ha approvato la modifica allo stesso Psr, riservando la misura 4.3.2 alle Associazioni Fondiarie. Con un importo complessivo destinato allo scopo di 950.000 euro.

Infine, nello scorso mese di gennaio, la Giunta Chiamparino, sempre su proposta dell’assessore Valmaggia e proprio per favorire il recupero dei terreni incolti o abbandonati, ha stabilito le modalità e i criteri capaci di favorire il percorso. Si considerano terreni incolti e abbandonati quelli non destinati a uso produttivo da almeno due annate agrarie. Ci sono poi quelli “silenti” dei quali non è noto o non è reperibile il proprietario o l’avente diritto. In entrambi i casi, possono chiederne l’utilizzo le Associazioni Fondiarie, ma anche gli imprenditori singoli o associati. Ad assegnarli sono le Unioni di Comuni o i Comuni. La richiesta di coltivazione deve comprendere il Piano di Sviluppo Aziendale della durata di almeno 5 anni.

“La Legge e i provvedimenti ad essa collegati – sottolinea l’assessore Valmaggiaintendono contrastare l’abbandono delle aree montane e collinari avvenuto nei decenni passati: fenomeno che ha portato alloro progressivo spopolamento con conseguenze drammatiche anche dal punto di vista paesaggistico e del dissesto idrogeologico. La strada intrapresa vuole costituire una grande opportunità di sviluppo e di nuova occupazione per le zone considerate marginali, di salvaguardia del territorio e dell’ambiente e di contenimento dei rischi di calamità naturali o dovuti agli incendi”.

Il ruolo dei cittadini e dei Comuni? 

“Per far funzionare il provvedimento abbiamo bisogno della disponibilità dei proprietari dei terreni, di imprenditori illuminati con la voglia di coltivarli e dei sindaci che si impegnino sui loro territori a mappare le aree abbandonate e a dare una garanzia istituzionale della loro conservazione in buone condizioni nei confronti dei privati meno convinti sul conferimento degli appezzamenti. Dobbiamo portare avanti il percorso insieme, ricostruendo l’antico principio dell’uso comunitario dei terreni”.