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Il lupo come emblema di un certo ambientalismo


Come Cia provinciale abbiamo più volte denunciato il cosiddetto ambientalismo conservazionista, che è una nuova e più subdola forma di colonialismo. Strumentalizzando concetti come natura, ambiente, biodiversità, non tiene in alcun conto esigenze, diritti, opinioni e sentimenti dei pastori e dei margari, che nella “natura” ci vivono quotidianamente.
La pastorizia in montagna, a causa dei lupi, sta diventando un’attività snervante, quasi impossibile. I lupi aggrediscono gli ovini e sempre più sovente anche i bovini in alpeggio. Le segnalazioni di vitelli sbranati dai lupi aumentano di anno in anno. A volte le vacche ed i vitelli assaliti dai lupi, in preda al terrore, si danno alla fuga e precipitano nei burroni, da cui è persino difficile rimuovere le carcasse.
Certamente convivere con il lupo in qualche ufficio o abitazione torinese, con i poster dei lupacchiotti sui muri, belle foto, e qualche domenica invernale di snow-tracking, sembra possibile. Diverso vivere in montagna in piccoli paesi, dʼinverno, con un branco in zona che periodicamente si avvicina, o, ancor più, vivere in montagna allevando bestie che devono pascolare.
Emblematica di un certo ambientalismo conservazionista è la lettera della dottoressa forestale Raffaella Zerbetto, pubblicata sul sito targatocn.it, la quale afferma: “I legittimi proprietari della montagna sono gli animali che ci vivono. Noi siamo solo usurpatori e sfruttatori”.

Alla dottoressa Zerbetto ha risposto una collega, la dottoressa Marzia Verona di Cumina (To).

Egregio Direttore,
Condivido in parte le argomentazioni della dottoressa Zerbetto, quando dice che vi sono gravi problematiche ad affliggere il settore della pastorizia (dalle speculazioni sui pascoli alla difficoltà di valorizzare i prodotti, dai cinghiali che devastano il cotico al crescente carico burocratico da assolvere annualmente), ma che il lupo sia l’ultimo dei problemi non è affatto vero, così come è falso che l’uomo sia un “usurpatore e sfruttatore” della montagna. Posto utopicamente che l’ambiente debba essere solo degli animali selvatici, ciò allora dovrebbe essere valido senza limiti di quota, dalle coste del mare fino alle vette più alte!
Ci sono indubbiamente esempi di cattiva gestione/utilizzo del territorio ovunque, in quota come in pianura, anche nel settore pastorale, ma come si può dimenticare che esista una fascia di territorio alpino denominata “pascolo”? Un ambiente così ricco di biodiversità vegetale, ma anche animale? E non sono i selvatici a mantenerla tale! Nella lettera della collega si citano i cattivi esempi di sovraccarico, ma anche un numero di animali (mandrie o greggi) insufficiente è dannoso per i pascoli, poiché l’abbandono favorisce l’espandersi dei cespugli e la progressiva scomparsa delle praterie alpine, che tanto apprezziamo durante le escursioni in montagna.
La mia storia personale mi ha portata ad occuparmi di pascoli come tecnico, ma successivamente anche con la conduzione di un gregge e so bene sulla pelle mia e dei nostri animali (pecore e capre) cosa significhi tentare di convivere con il lupo. Ci sono i danni diretti (gli animali predati), forse ben poca cosa rispetto a tutti i danni indiretti, alle spese, ai mancati redditi, allo stress fisico ed emotivo a cui sono sottoposti i pastori. Forse, guardando il problema “dal di fuori” questo non può essere capito fino in fondo, ma vivendolo si comprende eccome come il lupo sia non soltanto una delle problematiche che interessano la pastorizia, ma anche quella che per molti ha fatto traboccare un vaso ormai colmo.
Sicuramente la politica, gli amministratori, le organizzazioni di categoria possono e devono fare di più, fatti e non parole, però anche i progetti volti a studiare il lupo, visto che hanno budget milionari, dovrebbero veramente tener conto delle necessità dei veri pastori, quelli che stanno con i loro animali ventiquattro ore al giorno, anche quando mancano strutture abitative degne di questo nome.
La pastorizia è un mestiere che “resiste” grazie alla profonda passione di chi la pratica, ma quando l’amarezza, lo sconforto, la sensazione di abbandono prendono il sopravvento, si può assistere anche alla cessazione dell’attività. Ne gioiranno quelli che ritengono l’uomo usurpatore della montagna, ma io non mi sono mai sentita tale quando la notte cala, la pianura si incendia di milioni di luci ed invece lassù in alpeggio noi, con i nostri animali, siamo soli, senza nemmeno una lampadina, giusto una candela e la pila frontale per illuminare una rapida cena consumata a tarda ora, che precede un sonno talvolta interrotto dall’incubo che qualche animale non sia rientrato al recinto e sia finito preda del lupo”.
Condividiamo le opinioni della dottoressa Verona. Occorre affrontare la questione della proliferazione dei lupi con realismo e determinazione, sapendo guardare oltre i cliché dell’animalismo politicamente corretto e della mitizzazione del lupo, quale emblema di una astratta rivincita della natura.
Igor Varrone, direttore Cia Cuneo