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Il dilemma del mais tra Ogm e calo di resa


Le importazioni in Italia di mais nel 2013 sono aumentate di 1,29 milioni di tonnellate, di cui 630.000 tonnellate dall’Ucraina, 160.000 tonnellate dalla Francia e 146.000 tonnellate dalla Bulgaria.
Nel gennaio del 2014 le importazioni di mais sono aumentate di altre 36.000 tonnellate rispetto al gennaio 2013 (fonte Anacer).
Sono dati che fanno meditare. Il mais era l’ultima grande commodity per la quale l’Italia poteva vantare livelli di approvvigionamento vicini all’autosufficienza, ma è ormai entrato di diritto a far parte della lista delle materie prime per le quali siamo sempre più dipendenti dall’estero. Il livello di auto-approvvigionamento del nostro Paese è sceso abbondantemente sotto la soglia del 80 per cento. Il mais è quasi esclusivamente impiegato nel settore zootecnico. Non solo la carne e il latte dipendono dai suoi chicchi, ma anche molti importanti prodotti trasformati, dai formaggi ai prosciutti dop, che sono l’orgoglio del made in Italy.

LA CRESCITA INTERROTTA
Negli ultimi 30-40 anni si è assistito ad un aumento costante delle produzioni medie, che nel nostro Paese sono passate dalle 20/30 quintali di granella per ettaro alle 120 e anche 150 quintali per ettaro. Tale progresso è stato dovuto alla sostituzione delle vecchie varietà a seme vitreo con gli ibridi a seme farinoso molto più produttivi, ma la crescita inarrestabile avuta fino agli anni ’90 si è ormai fermata, anzi si sta verificando un’inversione di tendenza. Da ciò le importazioni. Tra le cause del calo delle rese, l’andamento climatico, la difficoltà di proteggere il mais dalla piralide, l’aggravarsi delle infestazioni di parassiti, tra i quali la temibile diabrotica e anche alcune avversità endemiche come gli elateridi ed i virus, che i coltivatori di mais non possono più contenere efficacemente dopo il divieto temporaneo di utilizzare sementi conciate con neonicotinoidi e fipronil, ritenute una delle cause del fenomeno della moria delle api.

VARIETA’ AUTOCTONE
NON PIU’ COMPETITIVE
Il ritorno alla coltivazione di varietà autoctone e tradizionali di mais, che rendono 20 o 30 quintali di granella ad ettaro, da taluni auspicato in nome di una presunta difesa della biodiversità, non è proponibile su larga scala se l’impiego principale del mais rimane quello zootecnico. I costi di produzione negli allevamenti aumenterebbero a livello insostenibile. Gli allevamenti sarebbero costretti a chiudere con conseguenze devastanti. Niente più latte e carne italiani. Niente prodotti più formaggi e prosciutti dop. La coltivazione di varietà autoctone può offrire una buona convenienza economica soltanto quando la produzione della granella è destinata all’alimentazione umana diretta, sia come farina da polenta sia per la preparazione di nuovi prodotti da panetteria e forneria.

OGM INEVITABILI?
Da notare che mentre calano le rese del mais in Italia e in Europa, aumentano invece Spagna, che sta puntando su coltivazioni ogm. Le tecniche di miglioramento genetico del mais, che avevano portato la Pianura Padana ai vertici del settore con rese tra le più alte al mondo, si trovano ora a dover fare i conti con una tecnologia che, a livello mondiale, scommette sui semi ogm. La complessità a cui è sottoposta la maidicoltura oggi suggerisce un’attenta analisi delle variabili in gioco, senza porre pregiudiziali, per capire come il settore possa rimanere competitivo e redditizio per le imprese coinvolte.

(fonte: Cia Cuneo)