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E nel 2016 l’Italia importerà il 50% del mais


La tendenza parla chiaro: la crisi del mais è ormai conclamata con le superfici dedicate che diminuiscono di anno in anno.

Se nel 2014, secondo l’Istat, gli ettari seminati erano circa 727 mila, per quest’anno si prevedono 699 mila ettari. Se invece dei dati ufficiali Istat si prendono in considerazione le indicazioni delle aziende sementiere, il quadro della situazione è ancora peggiore.

Fino a quindici anni fa l’Italia era autosufficiente. Poi dopo il 2001 è cominciata una fase di lento declino e nel 2004 abbiamo importato il 10% del mais di cui avevamo bisogno, diventato poi il 20% nel 2009, il 30% nel 2012. Per la campagna di quest’anno si potrebbe arrivare alla metà esatta del fabbisogno italiano, che è pari a circa 11 milioni di tonnellate.

Le motivazioni del declino sono da ricercare in diversi fattori. I coltivatori hanno perso parecchio entusiasmo per il mais essendosi trovati ad affrontare in questi ultimi anni una serie di difficoltà come le oscillazioni dei prezzi, la questione nitrati, la limitazione delle conce, la comparsa della Diabrotica e la presenza di micotossine, che si sono aggiunte alle frequenti crisi di mercato ed alle annate troppo siccitose o piovose. L’Italia è il Paese europeo con il danno più alto da piralide: temperature notturne alte e umidità la favoriscono e l’insetto è considerato tra i maggiori responsabili della contaminazione. Altro motivo della crisi è costituita dal fatto che il prezzo del mais nazionale, persino il migliore in termini sanitari, è quasi sempre inferiore a quello di provenienza extra Ue, anche ogm.

La crisi del mais è preoccupante. Tutti i prodotti derivati da carne e latte – formaggi, salumi, prosciutti -, compresi i prodotti Dop e Igp, hanno come base il mais. Non solo nel 2016 butteremo al vento più di un miliardo di euro per acquistare il mais che ci manca, ma stiamo correndo il rischio di non disporre di mais italiano a sufficienza per sorreggere le nostre produzioni di qualità.

È quindi necessario trovare soluzioni adeguate che permettano a questa coltura di tornare a essere al centro di un’agricoltura a cui offre ancora enormi possibilità.

(Fonte: Cia Piemonte)