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Dov’è finito il mais contaminato alla diossina?


Un mega carico di mais contaminato da diossina proveniente dall’Ucraina e destinato alla produzione di mangimi per animali è sbarcato nel porto di Ravenna il 6 marzo scorso ed è stato venduto dal 7 aprile ai mangimifici italiani fino al 9 giugno.
L’allerta rapido europeo è scattato solo l’11 giugno, quando le autorità sanitarie della Regione Emilia-Romagna hanno avuto i risultati delle analisi condotte su un campione di mais prelevato solo il 15 maggio (oltre due mesi dopo l’arrivo della motonave turca Tarik 3 dall’Ucraina): la concentrazione di diossina presente nel mais ucraino superava di quattro volte i limiti ammessi dalla normativa italiana ed europea.

LA PRESUNTA DESTINAZIONE DEL MAIS
Si suppone che il mais contaminato sia finito nei mangimifici e negli allevamenti di dodici regioni italiane e più precisamente: Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Umbria, Calabria e Sicilia, ma dove precisamente sia finito non è noto.
Si sa, perché lo ha comunicato l’Ansa, che un’azienda umbra, la Mignini e Petrini, di Petrignano di Assisi, ha già precauzionalmente ritirato tutto il mangime che potrebbe essere stato prodotto con il mais proveniente dall’Ucraina, ma si tratta solo di 2 mila tonnellate su 26 mila che sono sbarcate nel porto di Ravenna. Sarebbe necessario sapere dove sono finiti anche le altre 24 mila tonnellate.

QUALE MONITORAGGIO?
Questo ennesimo caso di allerta deve far riflettere sullo stato del monitoraggio sul mais importato: le analisi devono essere preventive e non possono avvenire due mesi dopo l’arrivo del carico, visto, per altro, che l’Unione europea è perfettamente a conoscenza di un problema diossina nel granoturco ucraino da molti anni.

PERCHE’ IMPORTIAMO MAIS
La vicenda del mais alla diossina importato dall’Ucraina deve indurre anche ad ulteriori riflessioni: il mais era l’ultima grande commodity per la quale l’Italia poteva vantare livelli di approvvigionamento vicini all’autosufficienza. Purtroppo è ormai entrato di diritto a far parte della lista delle materie prime per le quali siamo sempre più dipendenti dall’estero. Nel 2013 l’Italia ha importato, da diversi Paesi, il 35% del proprio fabbisogno di mais, prevalentemente ogm.
Nell’ultimo decennio c’è stato un regolare trend decrescente della superficie coltivata a mais, a causa degli elevati costi di irrigazione e dei mezzi di produzione, non compensati dal prezzo del mais. Sono calate anche le rese. Tra le cause del calo delle rese, l’andamento climatico, la difficoltà di proteggere il mais dalla piralide, l’aggravarsi delle infestazioni di parassiti, tra i quali la temibile diabrotica e anche alcune avversità endemiche come gli elateridi ed i virus, che i coltivatori di mais non possono più contenere efficacemente dopo il divieto temporaneo di utilizzare sementi conciate con neonicotinoidi e fipronil, ritenute una delle cause del fenomeno della moria delle api.

IL CONFRONTO CON LA SPAGNA
Confrontando la nostra situazione con quella della Spagna, dove si coltiva il mais biotech, emerge che nel 1993 la resa per ettaro in Spagna era di 85 quintali contro i 93 dell’Italia. Nel 2013 il mais iberico è cresciuto a 110 quintali per ettaro mentre quello italiano si è fermato a meno di 80.
In questi ultimi anni una notevole quantità del nostro mais è stata destinata a produrre biogas ed energia elettrica perché inquinato da micotossine oltre la soglia di legge. Il paradosso è che mentre bruciamo il nostro mais perché è inquinato, importiamo mais dall’Ucraina in condizioni sanitarie ancora peggiori.

BISOGNA INTERVENIRE
Il mais è la materia prima per una molteplicità di prodotti alimentari e industriali: grazie al suo impiego si possono ottenere i grandi prodotti alimentari di origine zootecnica che rendono famoso il made in Italy in tutto il mondo, come i formaggi e i prosciutti dop e altri salumi con le qualità ed il pregio che ben conosciamo. Non si può assistere alla crisi del comparto, alle navi cariche di mais che arrivano dall’Ucraina e da altre parti del mondo, senza intervenire e senza assumere i provvedimenti necessari.

(Fonte: Cia Piemonte)