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Bioeconomia, orizzonti di sviluppo in Piemonte


“Il cambiamento climatico e lo squilibrio ecosistemico, l’instabilità dei mercati economici, l’acuirsi del divario fra ricchi e poveri a livello globale dichiarano la necessità di trovare nuove forme per produrre e consumare sfuggendo al paradosso che sia l’uomo a vivere perché il sistema economico possa produrre e non viceversa. In tal senso la bioeconomia può rappresentare un’occasione per il nostro paese di tornare a crescere e deve essere sostenuta dalla politica e dalla società civile tutta. Anche allo scopo di riconquistare competitività nel confronto mondiale, dobbiamo reimpostare il nostro sistema produttivo, integrando la sostenibilità etica e ambientale a quella sociale che rimane il primo obiettivo”.

Così Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale, ha aperto i lavori del seminario Quale bioeconomia per il Piemonte? Analisi e prospettive, che si è svolto martedì 21 febbraio nell’Aula di Palazzo Lascaris, moderato dal giornalista ed esperto in storie d’impresa Adriano Moraglio.

“La bioeconomia si inserisce all’interno delle priorità indicate dall’Unione europea per l’uso dei fondi comunitari nella programmazione 2014-2020”, ha spiegato l’assessora regionale alle Attività produttive, energia, innovazione e ricerca Giuseppina De Santis. “Non significa solo riutilizzare lo scarto e i rifiuti ma, nell’ottica di una valorizzazione circolare delle risorse, impostare anche il design iniziale dei prodotti per renderli riutilizzabili al termine della loro vita produttiva. La Regione, oltre a stanziare fondi per la ricerca in tal senso, intende orientare la programmazione 2014-2020 per la realizzazione di 1 o 2 filiere locali, che creino concrete occasioni di sviluppo per il territorio”.

La bioeconomia definisce quel settore economico che utilizza le risorse biologiche, provenienti dalla terra e dal mare, e i rifiuti come materie prime per la produzione energetica, industriale, alimentare secondo un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale.

“Nel 2012 l’Unione europea ha lanciato una strategia per la bioeconomia allo scopo di produrre cibo in migliori quantità e qualità, ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche fossili e sfruttare le ricchezze provenienti dal mare, attraverso percorsi efficienti e a basso impatto per l’ambiente”, ha dichiarato Fabio Fava, rappresentante italiano per la Bioeconomia in Horizon 2020 e public private partnership biobased industry. “In particolare oggi è indispensabile agire per interconnettere meglio i diversi settori coinvolti, per aumentare i prodotti e ridurre gli scarti”.

A livello europeo la bioeconomia genera un giro d’affari di oltre 2 bilioni, per il 75% nell’ambito dell’agrifood e rappresenta il 9% dell’occupazione.

“In Italia la bioeconomia vale 251 miliardi e occupa 1,65 milioni di persone, incidendo per il 20% sulla produzione nazionale”, ha commentato Serena Fumagalli, economista della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. “Il paese si caratterizza per una elevata diversificazione produttiva, incidente non solo quindi nell’ambito dell’industria alimentare ma per esempio anche in quella della carta e della trasformazione del legno, benché il valore totale della produzione sia inferiore rispetto a quello di Spagna e Francia”.

L’Italia nel settembre 2016 ha elaborato una strategia nazionale in materia grazie al lavoro congiunto dei Ministeri dell’Agricoltura, della Ricerca, dello Sviluppo economico e dell’Ambiente con l’obiettivo di migliorare la sostenibilità e la qualità dei prodotti nei settori di trasformazione, potenziando i collegamenti fra industria alimentare, del legno, bioraffinerie e settore del biogas e per incrementare i numeri del comparto del 20% entro il 2030.

Della ricerca su tecnologie che permettano di recuperare all’interno dei processi produttivi anche gli scarti di carbonio ha parlato Guido Saracco, direttore Centro per le tecnologie future e sostenibili – Istituto italiano di tecnologia, che ha messo in evidenza da un lato la necessità, sollecitata da recenti accordi internazionali, di ridurre ulteriormente le emissioni dei gas serra e dall’altro l’evidenza di una forte produzione di carbonio proveniente sia da scarti alimentari sia da combustione: “la sfida ora è utilizzare il carbonio per ottenere nuovi prodotti combustibili rinnovabili”.

Un nuovo approccio sistemico nella gestione delle risorse, in grado di attivare un sistema produttivo ed etico più adeguato all’uomo e all’ambiente è stato descritto da Luigi Bistagnino, fondatore e presidente della Systemic approach foundation.

Il seminario ha inoltre ospitato le testimonianze di realtà industriali e agricole particolarmente attive nell’ambito della bioeconomia.

Giulia Gregori, responsabile Novamont pianificazione strategica, ha raccontato l’esperienza di Novamont dalla cui ricerca è nata Mater Bi, bioplastica da fonte rinnovabile, mentre Sandro Cobror, responsabile Relazioni istituzionali del Gruppo Mossi e Ghisolfi, ha spiegato come la sua azienda abbia sviluppato e applicato l’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili come il bioetanolo ricavato da biomasse non alimentari nell’attività chimica.

Michele Bechis, presidente Capac – Consorzio agricolo piemontese per agro-forniture e cereali, ha invece illustrato i risultati positivi del progetto di raccolta dei tutoli (scarti) di mais finalizzato alla produzione di biogas.

“Con la bioeconomia si affaccia non solo un cambiamento significativo del fare, ma innanzitutto del modo di pensare, attraverso una visione sistemica che mette al centro le emergenze e le necessarie interconnessioni. Si tratta di un tentativo importante di trovare strade nuove, più vitali per rispondere all’emergenza economica attuale. Noi come decisori politici abbiamo il dovere di far diventare questo approccio sistematico e diffuso e mi auguro che dai lavori del seminario il Consiglio possa trarre spunto per stimolare e indirizzare l’attività regionale”, ha commentato il consigliere regionale Domenico Rossi, uno degli organizzatori dell’incontro.

In conclusione dei lavori l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, ha evidenziato il costo del non fare: “Benché anche il produrre bioenergia possa avere dei limiti sarebbe peggio non agire del tutto e i danni delle catastrofi naturali e del cambiamento climatico lo testimoniano”.

(Fonte: Regione Piemonte)