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Allevatori, non basta essere i migliori


A sentire gli interventi di analisti, osservatori e industriali, i produttori di latte piemontesi non hanno nulla da temere. Lavorano bene e sono meglio dei loro concorrenti europei.
Ma i conti non tornano, se molte aziende dichiarano apertamente di essere sull’orlo del fallimento e non vedono nell’immediato i segni della ripresa.
Il salone Brut e Bun di Fossano era gremito, ieri mattina, 3 novembre, per il convegno sul mercato del latte organizzato da Confagricoltura. Un confronto franco e “civile”, come non si vedeva da anni, in un momento di grande incertezza per il settore lattiero-caseario, che ancora naviga a vista, dopo l’abbandono del tavolo di trattativa sul prezzo regionale da parte degli industriali.
A focalizzare il contesto del settore, sono intervenuti in apertura il presidente di Confagricoltura Cuneo, Oreste Massimino, e il direttore di Confagricoltura Torino, Ercole Zuccaro, moderatore dell’incontro.
SIETE I MIGLIORI. Poi è toccato all’analista del Clal (il sito di statistiche sul mercato lattiero-caseario), Angelo Rossi, disegnare lo scenario del mercato, evidenziando come negli ultimi dieci anni la produzione di latte nel mondo sia cresciuta del 21 per cento e come, in prospettiva, sia destinata ancora ad aumentare. Un trend di cui, però, non ha beneficiato l’Europa (produttrice di un quarto del latte mondiale), stretta dal sistema delle quote, che non hanno permesso aumenti di produzione.
Rossi ha previsto che nel 2013 “i prezzi dovrebbero rimanere abbastanza sostenuti, anche se soggetti a variazioni considerevoli da un mese all’altro”: «Globalmente la quotazione dovrebbe tenere – ha osservato Rossi -, il problema di cui preoccuparsi è il calo dei consumi». L’indicizzazione va bene come dato di riferimento, “ma poi si va a trattare”. «Se il prezzo precipita – ha osservato Rossi -, non c’è indicizzazione che tenga e nessuno, con la variabilità del mercato, è in grado di garantire il prezzo».
Con la fine del sistema delle quote, nel 2015, si entrerà in competizione diretta, ma “i produttori italiani sono più forti di quello che si crede, meglio dei loro concorrenti del Nord Europa”.
CONTRATTO NEFASTO. Pierangelo Cumino di Confagricoltura ha puntato il dito contro il contratto tra Inalpi e Compral, definendolo “nefasto”: «E’ all’origine della situazione di oggi – ha detto Cumino -, agli industriali ha fatto comodo adeguarsi, mentre i produttori mungono in perdita».
Attualmente la quotazione indicizzata sarebbe di 41,8 centesimi il litro, che, tolti i costi del trasporto, potrebbe scendere a 40 centesimi, “il prezzo giusto”, secondo Cumino, contro i 36-38 centesimi spuntati fino a ora: «La differenza è che gli industriali possono delocalizzare – ha attaccato Cumino -, gli allevatori no. Biraghi può trasferirsi in Ucraina, dove il latte costa meno. Alle nostre stalle, invece, non rimarrebbe che chiudere. Bisogna prendere atto che il latte non è la soluzione di tutto e imparare a lavorare sulla marginalità».
ASSESSORE E MINISTRO. L’assessore regionale all’agricoltura, Claudio Sacchetto, ha spiegato come il ruolo della Regione nella trattativa sia purtroppo molto depotenziato, tuttavia “il sistema dell’indicizzazione non è giunto al capolinea, ma rimane un riferimento oggettivo”, anche se “la sua applicazione compete alla filiera e non alla Regione”.
In chiusura del tavolo dei relatori, il direttore di Confagricoltura Cuneo, Roberto Abellonio, non ha risparmiato alcune bordate al ministro dell’agricoltura, Catania: «Va bene che in Italia ci sia il ministero – ha detto Abellonio -, ma se giudichiamo dal trattamento riservato quest’anno all’agricoltura, sarebbe meglio che il ministro non ci fosse».
Abellonio ha letto una dura lettera del vertice nazionale di Confagricoltura, che contestava la mancata partecipazione del ministro alla Fiera di Cremona, perché impegnato lo stesso giorno in una “passeggiata” al Salone di Terra Madre a Torino: «Purtroppo – commentava il direttore di Confagricoltura Cuneo – abbiamo a che fare con un sistema politico e mediatico che si preoccupa di produzioni che a malapena contano l’otto per cento dell’economia agricola, mentre il 92 per cento rimane a guardare».