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Agricoltura biologica ritorno al futuro


“Coltivare in biologico costa fatica e più ore di lavoro manuale ma si può fare ed un vigneto biologico è brulicante di vita, con radici forti che vanno in profondità per esprimere un vero legame con il territorio”.
Questi ragionamenti sono stati al centro dell’interessante incontro organizzato dal Cipat, l’istituto di assistenza tecnica della Cia di Cuneo, giovedì 5 giugno a Monforte d’Alba dal titolo «Agricoltura biologica: ritorno al futuro». All’appuntamento hanno partecipato, quali relatori, Silvia Guidoni, docente di Scienze Viticole ed Enologiche dell’Università di Torino, Pier Giuseppe Bonardi, dell’azienda vitivinicola Barone Pizzini di Provaglio d’Iseo, Brescia, Claudio Conterno, dell’azienda agricola Conterno Fantino di Monforte e Vincent Grosjean, della Maison Vigneronne Frères Grosjean, Quart, Aosta. Moderatrice è stata Maria Bianucci, già giornalista Rai ed ora viticoltrice a Monforte.

PROBLEMATICHE DELLE LANGHE
Silvia Guidoni dopo aver rapidamente introdotto le ragioni dell’applicazione di strategie di coltivazione biologiche, ha evidenziato le problematiche ambientali della coltivazione della vite nell’ambiente collinare, tipico delle colline di Langa soffermandosi sull’importanza del connubio del metodo biologico con la sostenibilità evidenziando l’importanza del mantenimento dell’attività biologica svolta dalla biomassa microbica e dalla meso e macrofauna presente nel suolo, della riduzione degli input, della salvaguardia delle risorse naturali e del controllo degli effetti effetti del cambiamento climatico.

L’UTILIZZO DEL SUOLO
Molto interessante la parte dedicata al corretto utilizzo del suolo nel vigneto. “Il suolo – ha evidenziato la relatrice – è una risorsa naturale soggetta a consumo e minacciata da fattori di varia origine che possono compromettere in modo irreversibile la sua fertilità. Il rischio di erosione, frane e smottamenti, la diminuzione del contenuto in sostanza organica e di biodiversità ed il compattamento sono solo alcune emergenze da non sottovalutare. Il pericolo può essere accentuato dalle caratteristiche pedoclimatiche dell’ambiente; fra queste rivestono particolare importanza il regime termico e idrico (entità, intensità e distribuzione delle piogge), la giacitura degli appezzamenti, la tessitura, la struttura (ovvero lo stato di aggregazione delle particelle e la stabilità degli aggregati), il ridotto contenuto in sostanza organica. Alcune pratiche agricole, interagendo con le caratteristiche pedoclimatiche prima elencate, possono migliorare la stabilità o, al contrario, rendere il suolo più vulnerabile ai fenomeni di degradazione. Tra queste possiamo menzionare le tecniche di messa a dimora dei vigneti, la presenza di drenaggi, la sistemazione dei filari, le lavorazioni, le concimazioni organiche, il transito dei mezzi meccanici, la presenza/assenza di protezione erbosa, ecc.

VITICOLTORI E RICERCATORI
E’ necessario, dunque, identificare ed utilizzare pratiche che garantiscano l’utilizzo sostenibile del suolo, che permettano, cioè, di mantenerne lo stato di fertilità per le generazioni attuali e quelle future. “È necessario – ha concluso la Guidoni – rinforzare la collaborazione fra i viticoltori ed i ricercatori di differenti discipline che devono, però, operare in sinergia con le collettività territoriali ed i servizi di protezione dell’ambiente; solo in tal modo la ricerca può contribuire con risposte concrete allo sviluppo della viticoltura identificando le vie di miglioramento della produttività, della qualità e della salubrità delle uve e dei vini”.

I VALORI DI UNA BUONA AZIENDA
Claudio Conterno, vicepresidente della Cia cuneese ha ribadito i concetti su cui si fonda buona parte della produzione dell’azienda “Conterno Fantino”, di cui è contitolare. “I buoni vini si fanno nella vigna. Se questo concetto è valido allora dobbiamo impegnarci per il miglioramento della fertilità dei suoli, l’incremento dell’humus e la tutela dall’erosione, pensare alla tutela della salute degli agricoltori, dell’ambiente e della sanità dei vini, tutti risultati conseguibili conla coltivazione biologica della vite. Abbiamo il dovere di lasciare il terreno meglio di come ce lo hanno trasmesso i nostri vecchi.

APPROCCIO ALLA TERRA
Per sviluppare quello che è il più importante sistema di qualità agricolo-alimentare del mondo, quello italiano in cui le produzioni cuneesi occupano le primissime posizioni occorre da parte dell’agricoltore un diverso rapporto con l’elemento “terra” a cominciare dall’approccio alla sua fertilità, quella vera, non quella fittizia dei concimi chimici, con l’adozione di buone pratiche agricole, per la “nutrizione” del terreno, un concetto più completo ed attento alla sua vitalità biologica. Torniamo ad alimentare la pianta dalla terra non dalle foglie! La testa della pianta è la radice ed è questa, quindi, che va aiutata in primis. Questo non significa demonizzazione della chimica, i cui progressi hanno certamente contribuito a risolverci problemi complessi, bensì usarla nel modo giusto, garantendo la qualità al terreno”.

FRANCIACORTA BIOLOGICA
Pier Giuseppe Bonardi, dell’azienda vitivinicola Barone Pizzini, di Provaglio d’Iseo (Bs), ha informato di essere stati i primi a produrre dal 1998 Franciacorta in regime di agricoltura biologica, così che dal 2001 tutti i loro vigneti sono certificati bio. “La scelta di applicare i metodi della viticoltura biologica – ha rilevato il relatore – è stata un’inevitabile conseguenza dell’attenzione che l’azienda presta alla salute delle persone e l’unico strumento possibile per raggiungere gli alti livelli qualitativi prefissati. Il nostro traguardo dopo tanti anni di esperienza è la garanzia che nel bicchiere non si trovino residui di diserbanti chimici e pesticidi.

CICLO VITALE NATURALE
Per Barone Pizzini “viticoltura biologica” significa che in campagna, per la difesa e per il nutrimento delle piante, si usano solo sostanze che si trovano in natura o che l’uomo può ottenere con processi semplici. Niente elaborazione chimica o manipolazione genetica, niente OGM, fertilizzanti o pesticidi chimici di sintesi. Le uve bio godono dunque di un ciclo vitale che non dipende dalla chimica”.

L’AMBIENTE NEL BICCHIERE
“L’ambiente nel bicchiere”. È stato lo slogan che caratterizza il filone di produzione biologica per Vincent Grosjean, della Maison vigneronne dei fratelli Grosjean di Aosta. Ed ha spiegato come è avvenuto l’approccio al biologico in casa Grosjean: l’attenzione alla terra e, di conseguenza, al contadino ed al consumatore, per l’azienda è stata un mission affinata nel tempo con l’eliminazione del diserbo nelle vigne e l’utilizzo dei lieviti selezionati in cantina, dopo un percorso progressivo di riconversione al biologico. Ha illustrato la tecnica e la filosofia della viticoltura biologica, che incoraggia la biodiversità: la vite cresce in un suolo ricco di vita sviluppando una maggiore resistenza alle malattie, l’erba, lasciata crescere tra i filari, ospita molte specie di insetti che si controllano a vicenda lasciando meno spazio al prevalere dei parassiti. Grazie a batteri benefici la pianta può nutrirsi al meglio ed in modo naturale delle sostanze minerali presenti nel suolo. I trattamenti contro i parassiti sono effettuati solo con zolfo e rame nelle loro composizioni più semplici, mentre contro insetti nocivi si utilizzano esclusivamente derivati naturali da piante o batteri.

ATTEGGIAMENTO MENTALE
“Biologico è prima di tutto, un atteggiamento mentale, culturale ed economico – ha spiegato Vincent Grosjean. L’agricoltura biologica è un sistema produttivo che mette al primo posto non la produzione fine a se stessa (produrre tanto, in modo da fare i maggiori profitti possibili), ma la produttività nella salvaguardia della salute dell’uomo (del consumatore e anche del contadino che coltiva la terra) e dell’ambiente in cui si vive. Questo vale anche per il vino. Perché quello che mangiamo e beviamo è agricoltura”.

UNA SFIDA NECESSARIA
Agli interventi introduttivi sono seguite domande e commenti di produttori e tecnici presenti fra un pubblico numeroso che ha seguito lo svolgimento dell’incontro con molta attenzione.
Le conclusioni sono state affidate a Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia: “L’organizzazione crede nel biologico ed in essa ha investito ed investe sia tramite l’istituto del Cipat, per iniziative come quella di oggi, sia con la specifica associazione dell’Anabio. E questo essenzialmente per il rispetto che si deve alla terra, madre della vita perché l’utilizzo di soli prodotti naturali e non di sintesi sia come elementi nutritivi che di difesa dalle patologie, evita di caricare di veleni il frutto e di conseguenza il prodotto ottenuto. Usando per la difesa e il nutrimento, in viticoltura dove è possibile, solo sostanze che si trovano in natura, niente elaborazione chimica o manipolazione genetica, solo una meravigliosa coincidenza naturale tra il clima, la terra e la forza della vite che affonda la sue radice nella terra, si può ottenere un frutto e quindi un vino, unico e irripetibile.
La Cia, quale rappresentante di imprese agricole, viticole nel caso specifico, trova spunto da iniziative come quella di Monforte, per censire e raccogliere, in modo ordinato e competente, le esigenze degli associati, i suggerimenti, per trasmetterli agli istituti di ricerca al fine di trovare, come auspicato e richiesto negli interessantissimi interventi odierni, utili forme di collaborazione che vedano la partecipazione, il coinvolgimento ed il contributo degli agricoltori nella ricerca di quei modelli di produzione e di gestione delle aziende e delle filiere agro-alimentari i cui requisiti economici e operativi permettono di conseguire una sempre più elevata qualità, nel rispetto dell’ambiente e della salute per affrontare meglio la competizione sui mercati a livello internazionale”.

(nella foto: Claudio Conterno)