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Agricoltura africana opportunità per l’Italia


Molti commentatori economici si chiedono se il miracolo africano si sia improvvisamente ridimensionato. Dopo 10 anni di crescita economica formidabile l’Africa deve fare i conti con due preoccupanti fenomeni: il crollo del prezzo delle materie prime, a cominciare dal petrolio, ed il rallentamento della crescita cinese.

Le due variabili sono in parte dipendenti. Lo diventano ancora di più in un continente dove la Cina aveva negli anni recenti fortemente aumentato la sua presenza.
Gli effetti tangibili sono evidenti. Il crollo del prezzo del petrolio ha messo in seria difficoltà i paesi produttori come Nigeria ed Angola, ma anche altri mercati sensibili al prezzo delle commodities, ad esempio Sudafrica e Ghana. I programmi d’investimento più importanti, spesso collegati alle materie prime subiscono un forte rallentamento, come è il caso dei progetti per aumentare la capacità di raffinazione del petrolio in Nigeria o di incrementare la produzione di rame in Zambia. Vengono varati controlli drastici alle importazioni in modo da contingentare l’esborso di valuta forte. Ed anche i nostri esportatori cominciano a risentirne. Gli investimenti cinesi frenano, e soprattutto diventano più selettivi, più cauti.
Eppure in questo contesto gli osservatori più attenti e gli stessi politici ed economisti africani colgono un segnale positivo: di fronte al nuovo scenario, ed alle sue criticità, l’Africa ha la grande opportunità di avviare un percorso di sviluppo nuovo. In un recente survey del FT si riconosce che il continente is not rising but changing. Nel corso di alcuni incontri economici a Londra sono emerse le principali direttrici di questa nuova via dello sviluppo.
Il crollo del prezzo delle materie prime sta favorendo una spinta decisa alla diversificazione.

Maggiore attenzione viene data al settore manifatturiero, ma anche a quello dei servizi. L’assenza di adeguate infrastrutture fisiche sta determinando lo sviluppo dei servizi in mobilità, come quelli finanziari per le comunità rurali o per la gestione più efficiente delle rimesse degli emigrati. In fondo i dati sugli investimenti diretti esteri in Africa nel 2014 (FDI Intelligence) sono qui a testimoniare l’interesse sempre elevato degli investitori internazionali. Gli Investimenti Diretti Esteri nel continente hanno raggiunto gli 87 miliardi di dollari (+67%), distribuiti su 660 progetti ed oltre 460 imprese. Tra gli investitori internazionali un ruolo importante hanno avuto anche il Portogallo e la Grecia. Purtroppo dobbiamo registrare come l’Italia non sia nella parte alta del ranking.

Con riguardo alle prospettive paese gli osservatori, compresi quelli che hanno partecipato ai panels dell’ultimo Africa Summit 2015, sono unanimi. Nigeria e Sudafrica restano pilastri dell’economia subsahariana, ma in questa fase è l’Africa Orientale ad offrire le opportunità più interessanti. I tassi di crescita di questa regione sono fra il 6 e l’8%, le economie sono meno legate all’andamento delle commodities e si stanno quindi avvantaggiando del calo dei prezzi. L’East Africa è anche un’area a maggiore integrazione regionale, con una forte crescita della classe media, e finanze pubbliche maggiormente sotto controllo. Soprattutto l’Africa Orientale guarda – oltre che alla Cina – verso il Golfo e l’India, con cui rafforza i legami di collaborazione economica. Il più recente significativo evento che ha suggellato questi legami è l’India Africa Summit tenuto a New Delhi nell’ultima settimana di ottobre (www.iafs.in). Dove puntare allora? Kenya, Etiopia, Mozambico sono le realtà su cui si concentrano le maggiori aspettative.

Guardando al resto della regione subsahariana, oltre i citati Nigeria e Sudafrica (rispettivamente prima e seconda economia d’Africa) molti puntano su Costa d’Avorio ed Uganda.
Una cosa è certa, investire sull’Africa significa avere una visione di lungo termine, puntare su progetti che abbiano al centro l’enorme quota di popolazione giovanile in crescita, e scommettere sulla partnership con il settore privato locale. Proprio su quest’ultimo stanno puntando anche le iniziative dei principali organismi Internazionali. L’imprenditoria privata locale è molto dinamica, giovane, desiderosa di affrancarsi dalla cronica corruzione delle burocrazie pubbliche.

In questo scenario quale ruolo ed importanza riveste il settore agricolo? Per rispondere a questa domanda si deve partire dai megatrends del continente, ed in particolare della sua regione sub sahariana (SSA). Qui il 70% della popolazione è impiegato in agricoltura, la quale a sua volta pesa solo per il 30% del Prodotto Nazionale Lordo. Se a questi dati aggiungiamo quello relativo alla popolazione sotto i 25 anni, pari al 62% del totale, ed ai rapidi fenomeni di urbanizzazione è chiaro che il tema dell’agricoltura africana si salda in modo sostanziale con quello della sicurezza alimentare. I margini potenziali di intervento sono notevoli. La produzione agricola africana è solo il 10% di quella mondiale, in un continente che detiene però il 60% delle terre incolte del pianeta … ma importa ogni anno 33 miliardi di dollari di generi alimentari. Da questi dati di scenario si deve partire per identificare i possibili percorsi di collaborazione e le opportunità anche per le nostre imprese del settore agroindustriale.

Un tema rilevante è certamente la capacità di inserire nella value chain globale i prodotti agricoli della regione SSA, che significa spostarsi dall’esportazione delle commodities agricole (con i prezzi in forte calo) all’aggiunta di valore sul prodotto. Quindi dal miglioramente dei metodi produttivi a quello dei processi di trasformazione, dai sistemi irrigui a quelli di conservazione e stockaggio del prodotto, fino ad arrivare alla logistica, al marketing ed al training per gli operatori del settore. Sull’intera catena le imprese italiane sono in grado di fornire un contributo significativo. Un esempio può essere in questa prospettiva il Ghana. Un paese dove circa un quarto del prodotto nazionale proviene dall’agricoltura, e questa vede come protagoniste imprese PMI. La struttura dell’offerta ruota attorno al cacao, principale prodotto esportato, ma vede anche la presenza del settore della pesca, della coltivazione di olio di palma, gomma ed ananas. Nel nord poi esistono aree dedicate all’allevamento bovino ed alla coltivazione di cotone ma anche di patata dolce, miglio, riso, burro di karité, noce di kola.
Il Governo locale, e le Agenzie per l’aiuto allo sviluppo spingono sulla meccanizzazione del settore, con l’obiettivo di creare valore aggiunto sulla filiera, ridurre le importazioni di generi alimentari, incrementare l’occupazione frenando l’urbanizzazione galoppante.

Ma anche in altri Paesi, magari meno seguiti dai media, esistono specifiche opportunità. Ad esempio nel caso dello Zimbabwe i settori agroindustriali sui quali puntare sono quelli delle principali coltivazioni locali: granturco e tabacco. Alcuni imprenditori locali ci hanno segnalato opportunità anche nei settori dell’ortofrutta e del floreale.

Altra situazione particolare è quella dell’industria saccarifera delle Mauritius dove è in atto una profonda ristrutturazione del settore. Il crollo del prezzo dello zucchero passato dai 586 usd del 2012 ai 400 circa attuali ha comportato una forte riduzione della produzione e del numero degli impianti. Contestualmente ci sono importanti progetti industriali finalizzati ad ampliare la tipologia di prodotto: come gli zuccheri speciali e l’etanolo.

Fra i grandi Paesi della regione sub sahariana è forse il Kenya quello che dedica maggiore attenzione all’innovazione in ambito agroindustriale. Le condizioni favorevoli a cui abbiamo già fatto cenno sono attrattive per gli investitori esteri, è maggiore la sensibilità verso i temi ambientali, ed è particolarmente significativa la volontà di ridurre l’importazione di alcuni prodotti alimentari di base (come riso e granturco).

Per l’Africa forse si sta definendo un nuovo paradigma di sviluppo, ed in questo sentiero sembrano aprirsi nuove e più ampie opportunità di business per le imprese italiane. L’arretramento delle commodities come unico motore di crescita ed il ridimensionamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo possono rappresentare per le aziende italiane l’occasione di un radicamento nella regione sub sahariana meno episodico e più diversificato nelle diverse filiere dell’economia locale.

di Gildo Sgroj

(da: Mondo Macchina)