Sezioni


Inarrestabili le importazioni di mais. Il prodotto italiano Ogm free non rende


Anacer, l’Associazione Nazionale Cerealisti, ha reso noto che nei primi dieci mesi del 2017 c’è stato un forte aumento degli arrivi di mais, più 800.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo del 2016.

L’aumento delle importazioni di mais sembra ormai inarrestabile. E pensare che nel 2001 eravamo autosufficienti. Poi è cominciata una fase di lento declino. Nel 2004 abbiamo importato il 10% del mais di cui avevamo bisogno, diventato poi il 20% nel 2009, il 30% nel 2012. Ora siamo al 50%.

La progressiva riduzione della produzione nazionale di mais e l’aumento della dipendenza dall’estero rischiano di mettere in difficoltà il sistema agroalimentare Made in Italy: il mais è infatti alla base dell’alimentazione zootecnica di quasi tutte le produzioni Dop.

I nostri coltivatori sono delusi perché il mais nazionale non garantisce un reddito adeguato e perché il prezzo del mais nazionale, persino il migliore in termini sanitari, è quasi sempre ed immotivatamente inferiore a quello ogm di provenienza extra Ue, ma anche perché si sono trovati ad affrontare in questi ultimi anni un’altra serie di gravi difficoltà, come la limitazione delle conce, la comparsa della Diabrotica e la presenza di micotossine.

L’Italia è il Paese europeo con il danno più alto da piralide: il nostro clima favorisce l’insetto che perforando le spighe del mais offre la strada alla penetrazione delle muffe che producono le micotossine, aflatossine in particolare.

“La scelta di un’agricoltura ogm free, fatta dall’Italia – osserva Lodovico Actis Perinetto, presidente Cia Piemonte -, può essere un valore aggiunto alla distintività della nostra offerta agroalimentare in ragione delle nostre peculiarità e della nostra storia, ma se vogliamo che i nostri produttori non guardino con invidia e frustrazione al mais ogm, dobbiamo garantire loro un reddito adeguato. Gli agricoltori pretendono giustamente che il loro mais ogm free venga pagato qualcosa in più”.

“E’ urgente varare un piano di settore che ridia motivazioni ai nostri produttori di mais – conclude Actis Perinetto – , mettendo loro a disposizione gli strumenti necessari a recuperare il forte gap di competitività che si è accumulato in venti anni a causa soprattutto del blocco alla ricerca in campo e della rinuncia all’innovazione. Le rese di produzione per unità di superficie coltivata sono ferme ai livelli di venti anni fa, mentre nel resto del mondo sono in crescita costante”.